Rotte di "veleni" ed armi, tra Liguria, Calabria e... con morti ammazzati - 1 parte

Rotte di "veleni" ed armi, tra Liguria, Calabria e... con morti ammazzati - 1 parte

Domenica 20 Settembre 2009 01:00 Ufficio di Presidenza
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La Jolly Rosso, una delle navi dei veleni che seminano mortiLa questione delle "navi dei veleni" e più in generale il traffico illecito di rifiuti tossici e radioattivi, torna al centro dell'attenzione. Non sappiamo se sarà la volta buona o l'ennesima occasione mancata per fare luce sulle responsabilità dei disastri ambientali e danni alla salute, ponendo urgente rimedio. Quello che è certo è che tutto ciò che potremo contribuire a far emergere sulle responsabilità vere, di esecutori, intermediari, mandanti speculatori, così come sui collegamenti, le contiguità e le protezioni, lo faremo, come sempre... come abbiamo già fatto, senza tacere nulla. Iniziamo oggi con questo primo capitolo...


Come prima constatazione riteniamo doveroso partire da un punto: i collaboratori di giustizia in Italia sono "ignorati" quando parlando delle collusioni e complicità delle organizzazioni mafiose con la politica e le Istituzioni e quando compiono rivelazioni sulla questione del traffico illecito di rifiuti ed armi... In Italia i collaboratori sono "buoni" solo quando aiutano a colpire i "gruppi di fuoco" delle cosche, se osano parlare di livelli più alti, quelli che garantiscono e proteggono il business, di affari utili al potere politico ed economico, diventano inattendibili o semplicemente ignorati. Ed è la stessa sorte che colpisce giornalisti, cittadini, associazioni e magistrati che su questi terreni - collusioni e complicità della politica e delle istituzioni con le cosche mafiose e traffici illeciti di rifiuti e di armi - ci mettono il loro determinato impegno, senza cedere a condizionamento alcuno, con il solo fine di accertare la verità dei fatti, responsabili e complicità.

Assunto questo punto possiamo quindi iniziare, cercando di essere il più possibile sintetici e completi.

In Calabria un collaboratore di giustizia, il boss della 'ndrangheta Francesco Fonti, dal 1992 ha dichiarato all'Autorità Giudiziaria che la 'ndrangheta curava l'affondamento di decine e decine di navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi nel mare Mediterraneo, oltre che per lo smaltimento illecito anche in Africa ed in particolare nei fondali antistanti Kenya, Somalia e Zaire. Trenta sono le navi che sicuramente sono state affondate cariche di veleni nei tratti di mare attorno alla Calabria, poi altre in Liguria (La Spezia), in Toscana (Livorno). In riguardo sempre alla rotta verso l'Africa, il collaboratore, svelava che questa serviva anche per il traffico di armi.

Tali traffici venivano seguiti, come "braccio armato", dalla 'ndrangheta per garantire ad imprese (soprattutto del nord) e politici, di effettuare gli smaltimenti di rifiuti tossici e radioattivi con costi irrisori rispetto a quelli necessari per le procedure corrette, sicure e lecite.
Il tramite con le cosche della 'ndrangheta erano i Servizi Segreti.

I riscontri su quanto dichiarato da Fonti si erano già di fatto evidenziati sia sulla vicenda del tentato - ma "non riuscito" - affondamento della Jolly Rosso, con conseguente insabbiamento sulla costa di Amantea, e con quella dell'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Nel primo caso la nave aveva uno dei tanti carichi di "veleni", nel secondo bisognava fermare la giornalista perché aveva scoperto e visto ciò che non doveva vedere, in quel porto di Bosaso, in Somalia, dove si trovava ad indagare e che era una delle mete di tali traffici d'armi e di rifiuti tossici dall'Italia.

Per anni il silenzio è calato su questi fatti, ed in questi anni il collaboratore Fonti, pur ritenuto attendibile, è stato di fatto lasciato solo, nascosto e senza protezione, ed in cui il pm di Reggio Calabria, Francesco Neri, è stato ignorato nelle sue richieste di fondi per effettuare le ricerche delle "navi dei veleni" affondate, e soggetto ad attacchi, intimidazioni, isolamento ed anche accusato ed additato pubblicamente di "voler rovinare il turismo della Calabria".

Nell'estate del 2009 è emerso un ulteriore inequivocabile riscontro alle dichiarazioni di Fonti ed all'inchiesta del pm Neri: il ritrovamento di un cargo carico di rifiuti tossici al largo di Cetraro (Cosenza) con 120 bidoni pieni di sostanze tossico-radioattive. Si tratta proprio di una delle tre navi, la Cunsky (le altre sono Yvonne A e Variais) che l'ex boss Fonti ha confessato di aver affondato direttamente, "dietro indicazione dell'armatore IGNAZIO MESSINA".

Ed ecco che arriviamo a Genova
... o meglio che ritroviamo la "testa" dei traffici e degli affondamenti nel capoluogo Ligure, con i potenti MESSINA, ovvero gli armatori della Jolly Rosso, con tutto il fiume di mistero (e sangue) che avvolge il suo affondamento "non riuscito" e sulla cui azione di bonifica, considerando le presenze ad oggi di fusti radioattivi, vi sono seri dubbi e qui, il Franco LA RUPA, potente politico di Amantea legato alle cosche della 'ndrangheta, se parlasse potrebbe fornire utili informazioni!

Occorre da subito assumere una rivelazione del collaboratore di giustizia Fonti che in Calabria è stata ripresa addirittura dal Tg-Rai regionale (vedi video in apertura dell'articolo) ma in Liguria, dove operano i MESSINA, non è mai giunta. La pesantissima rivelazione riguarda il Comandante della Capitaneria di Porto Natale De Grazia, che collaborava alle indagini, deceduto 14 anni fa in circostanze sino ad oggi misteriose e su cui il pm Neri, che ha seguito le indagini, ha dichiarato essere stato il più prezioso collaboratore nell'inchiesta sulle "nevi dei veleni" e che prima di morire stava lavorando su piani di carico di 180 navi sospette, tra cui, in particolare la Jolly Rosso. Il collaboratore di giustizia Fonti ha dichiarato che il Capitano De Grazia era persona integerrima, incorruttibile e quindi lo si è dovuto ammazzare!

Il collaboratore Francesco Fonti ha dichiarato ancora: "... Nel settore avevo stretto rapporti nei primi anni Ottanta con la grande società di navigazione privata IGNAZIO MESSINA, di cui avevo incontrato un emissario con il boss Paolo DE STEFANO di Reggio Calabria. Ci siamo visti in una pasticceria del viale San Martino a Messina, dove abbiamo parlato della disponibilità di fornire alla famiglia di San Luca navi per eventuali traffici illeciti. Fu assicurato che non ci sarebbero stati problemi, e infatti in seguito è successo. Per la precisione nel 1992, quando nell'arco di un paio di settimane abbiamo affondato tre navi indicate dalla società MESSINA: nell'ordine la Yvonne A, la Cunski e la Voriais Sporadais. La IGNAZIO MESSINA contattò la famiglia di San Luca e si accordò con Giuseppe GIORGI alla metà di ottobre. GIORGI venne a trovarmi a Milano, dove abitavo in quel periodo, e ci vedemmo al bar New Mexico di Corso Buenos Aires per organizzare l'operazione per tutte le navi. La Yvonne A, ci disse la IGNAZIO MESSINA, trasportava 150 bidoni di fanghi, la Cunski 120 bidoni di scorie radioattive e la Voriais Sporadais 75 bidoni di varie sostanze tossico-nocive. Ci informò anche che le imbarcazioni erano tutte al largo della costa calabrese in corrispondenza di Cetraro, provincia di Cosenza. Io e GIORGI andammo a Cetraro e prendemmo accordi con un esponente della famiglia di 'ndrangheta MUTO, al quale chiedemmo manodopera. Ci mettemmo in contatto con i capitani delle navi tramite baracchino e demmo disposizione a ciascuno di essi nell'arco di una quindicina di giorni di muoversi. La Yvonne andò per prima al largo di Maratea, la Cunski si spostò poi in acque internazionali in corrispondenza di Cetraro e la Voriais Sporadais la inviammo per ultima al largo di Genzano. Poi facemmo partire tre pescherecci forniti dalla famiglia MUTO e ognuno di questi raggiunse le tre navi per piazzare candelotti di dinamite e farle affondare, caricando gli equipaggi per portarli a riva. Gli uomini recuperati sono stati messi su treni in direzione nord Italia. Finito tutto, io tornai a Milano, mentre Giuseppe GIORGI andò a prendere dalla IGNAZIO MESSINA i 150 milioni di lire per nave che erano stati concordati"



Vi è poi un altro passaggio centrale delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia che, tra l'altro trovano riscontro in denunce effettuate negli anni passati e riprese in un rapporto del WWF e di Legambiente del 2004 (che - insieme ). Sono quelle che riguardano il ruolo dei Servizi Segreti.

Nel dossier del 2004 si leggeva testualmente: Giuseppe Bellantone, comandante in seconda della Capitaneria di Vibo Valentia, ha testimoniato che già il 15 dicembre 1990, ad un giorno dallo spiaggiamento, a bordo del relitto della M/N Rosso si sarebbero presentati "agenti dei servizi segreti" ed è lui stesso a rinvenire sulla plancia della motonave documenti che a suo dire, come riporta il settimanale L'Espresso:"richiamavano la natura della radioattività ed erano introdotti dalla sigla ODM" ossia Oceanic Disposal Management Inc., società creata da Giorgio Comerio, nato a Busto Arsizio (Varese) nel 1945 ("Non c'erano quelle carte. Sono balle. E' tutto un equivoco", ha sostenuto sempre Gianfranco Messina intervistato dall'Espresso).
Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Fonti, dettagliatamente riportate dal giornalista Riccardo Bocca sull'Espresso, sono state: "Il mio filtro con il mondo della politica è stato, fin dal 1978, un agente del Sismi che si presentava con il nome Pino. Un trentenne atletico, alto circa un metro e ottanta con i capelli castani ben pettinati all'indietro, presentatomi nella Capitale da Guido Giannettini, che alla fine degli anni Sessanta aveva cercato di blandirmi per strapparmi informazioni sulla gerarchia della 'ndrangheta. Funzionava così: l'agente Pino contattava a Reggio Calabria la cosca De Stefano, la quale informava il mio capo Romeo, che a sua volta mi faceva andare all'hotel Palace di Roma, in via Nazionale. Da lì telefonavo alla segreteria del Sismi dicendo: 'Sono Ciccio e devo parlare con Pino'. Poi venivo chiamato al numero dell'albergo, e avveniva l'incontro... L'agente Pino mi indicava la quantità di scorie che dovevamo far sparire e mi chiedeva se avessimo la possibilità immediata di agire". E ancora: "Si partiva da 4 miliardi di vecchie lire per un carico, e si arrivava fino a un massimo di 30... I soldi che venivano puntualmente versati a Lugano, presso il conto Whisky all'agenzia Aeroporto della banca Ubs, o in alcune banche di Cipro, Malta, Vaduz e Singapore. Tutte operazioni che svolgevamo grazie alla consulenza segreta del banchiere Valentino Foti, con cui avevamo un cinico rapporto di reciproca convenienza".

Il legame con il nord Italia ed in particolare la Liguria, dove i traffici illeciti di rifiuti via terra e via mare continuano nonostante i pesanti, ma non sufficienti, controlli sulle banchine, torna ancora sia nelle dichiarazioni di Fonti sia con altri protagonisti, e si allarga alla Campania ed alla Cina... portandoci anche sul filone del traffico internazionale di armi. Ma andiamo con ordine.

Il Fonti cita spesso un altro 'ndranghetista che con lui seguiva gli affondamenti delle "navi dei veleni". Si tratta del boss Natale IAMONTE. Ed ancora una volta a quanto riferito dal Fonti risultano conferme provenienti da intercettazioni effettuate dalla Procura di Asti che indagava su un traffico di rifiuti nel nord Italia. Per approfondire questo punto usiamo la ricostruzione precisa fatta dal giornalista Marco Menduni de Il Secolo XIX nei giorni scorsi:

"Fonti è il pentito della 'ndrangheta che ha svelato i misteri dei rifiuti tossici inabissati in mare. Non soltanto davanti alle coste della Calabria. Nell'ultima intervista rilasciata all'Espresso Fonti allarga il cerchio. E parla di veleni abbandonati in mare «anche nel tratto davanti alla Spezia e al largo di Livorno, dove Natale IAMONTE mi disse che aveva "sistemato" un carico di scorie di un'industria farmaceutica del Nord».
Di sostanze velenose scaricate sui fondali del Mar Ligure si parlò nell'inchiesta sulla discarica di PITELLI, la collina dei veleni alle spalle del capoluogo, al centro della clamorosa inchiesta degli anni Novanta. Inchiesta partita dalla procura di Asti, che era riuscita a rompere il muro di omertà intorno allo smaltimento irregolare e pericoloso, dei rifiuti tossici in tutta Italia. Nelle carte trasmesse da Asti alla Spezia c'erano anche intercettazioni allarmanti. Una in particolare, del 10 luglio 1996, confermava un "sistema" ormai collaudato per liberarsi, senza troppe spese, dei rifiuti pericolosi. Annotano le carte degli inquirenti: «un certo LIGERI chiama POLOTTI, direttore generale della Sistemi Ambientali spezzina». La conversazione è di questo tenore. POLOTTI: «Quindi aspettano lì e poi scaricano in mare?». LIGERI: «Nei costi abbiamo previsto lo smaltimento in mare, perché il costo in discarica ci viene a costare dieci volte di più». Il pm dell'inchiesta di PITELLI era Silvio Franz, oggi sostituto a Genova. Il magistrato ricorda: «Si parlò di rifiuti scaricati in mare, si tratta di circostanze emerse da alcune intercettazioni telefoniche».
Il pentito Fonti parla di Natale IAMONTE. Chi è IAMONTE? È il boss, il capobastone di una delle più sanguinarie cosche calabresi. Nel 1988 viene arrestato e spedito al confino al Nord. Arriva a Desio, ma impianta anche in Brianza un business di investimenti e attività illegali. Nel 1993 viene arrestato e sconta ancora la pena in regime di carcere duro. Proprio dalla Brianza, secondo l'inchiesta della procura di Asti, erano partite «tonnellate di fanghi di depurazione spediti da un importante complesso chimico-farmaceutico». Una delle voci di un elenco sterminato di veleni lombardi che hanno ridotto a un inferno ambientale uno dei promontori più belli d'Italia. Un elenco che, dopo aver rovistato in centinaia di casse di documenti, bolle e fatture, il corpo forestale aveva inviato al pm Franz. Non tutti i veleni annotati in quegli elenchi furono ritrovati a PITELLI. Ora le parole del pentito Fonti sulle confidenze ricevute da IAMONTE sui veleni brianzoli rilanciano sospetti inquietanti su quale possa esser stata la strada per "smaltire" quelle scorie."

Prima di chiudere questa prima parte sulle "rotte dei veleni" a cui avevamo già dedicato un ampio speciale alcuni anni fa - clicca qui - ancora due tasselli.

Il primo ci riporta alla Jolly Rosso, a quei carichi di veleni ed alle "inquietanti" carte ritrovate a bordo della nave. Sapendo che i Servizi Segreti lavoravano con la 'ndrangheta per tali traffici, la versione dei Servizi per cui tali carte fossero relative ad una modifica della nave- che sarebbe state effettuata in Iran - come "fabbrica galleggiante di missili", si "scontra" troppo con il carico di rifiuti e le risultanze investigative, alle dichiarazioni del collaboratore ed ai riscontri emersi... e troppo somiglia ad uno dei classici depistaggi a cui siamo abituati in questo Paese. Tali carte, invece, confermavano il progetto inquietante e folle che era quello della realizzazione di missili capaci di penetrare nel fondale marino, con il loro carico di scorie radioattive e rifiuti tossici. Modalità che alcuni avevano "inventato" per garantire uno smaltimento illecito che rendeva/renderebbe praticamente impossibile rinvenire le sostanze tossico-nocive così "smaltite". Su questo punto rilevanza indiscutibile è quanto emerso dalle attività d'indagine del pm Neri che, ancora una volta mettono in evidenza l'accordo tra massoneria, mafia e governi, oltre ad un sistema illegale utilizzato dall'Enea (l'Ente italiano per le nuove tecnologie, energia e ambiente) per eliminare avanzi radioattivi. La chiave di volta è il fermo alla frontiera Italo-Svizzera di Elio RIPAMONTI che era in possesso di carte sullo smaltimento di rifiuti radioattivi. Questi, nel 1995, fa a Neri il nome Giorgio COMERIO, al centro di un piano criminale che "attenta all'incolumità dell'intera popolazione mondiale"

, come documentato ampliamente in un articolo de l'Espresso del 2008 (leggi qui)

E' proprio su tale progetto e tale attività di smaltimento di materiali radioattivi, come in generale sulla questione Jolly Rosso, occorre andare a riprendere uno degli uomini protagonisti di quella vicenda. Si tratta di Jack Rock MAZREKU
. Questi lo si incontra lungo le rotte di cui stiamo parlando ed infatti era già coinvolto nelle inchieste sulla Jolly Rosso e sull'omicidio di Ilaria Alpi.
Si tratta di un kosovaro-albanese che vive in Italia da clandestino, senza permesso di soggiorno. Residente in Svizzera a Lugano e con cittadinanza prima statunitense ora non si capisce... Prima viaggiava su limousine con targa e bandiera del consolato Usa... ora targa e bandierine sono del Consolato d'Albania, ma non è un diplomatico.
E qui, sull'uso di auto del corpo diplomatico senza essere diplomatici occorre riprendere un attimo le dichiarazioni del collaboratore di Giustizia Fonti che l'Espresso ha pubblicato: "Per salvarmi la vita, in caso di minacce o aggressioni, mi sono segnato il tipo di macchine e le matricole diplomatiche che c'erano sui documenti ". In un caso, "ho usato una Fiat Croma blindata con matricola VL 7214 A, CD-11-01; in un altro ho guidato un'Audi con matricola BG 146-791; e in un altro ancora, ho viaggiato su una Mercedes con matricola BG 454-602. Va da sé, che ci venivano assegnate auto diplomatiche perché non subivano controlli alle frontiere"

Da una segnalazione avuta era stato fermato in Francia per un inchiesta aperta su traffici di rifiuti in Germania, ma dopo poche ore è stato puntualmente rilasciato. Da alcuni anni ha la gestione del Porto di Lavagna, il più grande porto turistico del Mediterraneo (ovvero per le leggi italiane è la sua società, la Porto di Lavagna spa con sede a Milano, che tiene il Registro delle imbarcazioni presenti, di quelle che escono ed entrano nel porto). Porto importante e senza controlli da parte delle Autorità pubbliche, tanto che è in piena funzione nonostante sia "abusivo", senza collaudo e con un ampliamento mai autorizzato e mai condonato, che alcuni osservatori indicano essere avvenuto con riempimenti a mare eseguiti con terreni inquinati da rifiuti tossici novici (nella zona di Lavagna la famiglia della 'ndrangheta dei NUCERA gestisce discariche e trasporti di rifiuti, e sempre nella zona del Tigullio vi è un sito ove erano stati occultati 40.000 fusti tossico-nocivi, stando alle dichiarazioni dal pentito Filippo FAZZARI, tra i protagonisti della Rifiuti Connection Ligure, legato a Carmelo GULLACE del clan RASO-GULLACE-ALBANESE presente ed attivo nel savonese).

Il MAZREKU, dalle indicazioni raccolte, è uomo legato ai Servizi Segreti italiani e francesi, e quindi considerato "intoccabile" nonostante molteplici inchieste lo abbiano coinvolto anche di recente da parte della Guardia di Finanza. Inoltre, come avevamo scritto "il Porto di Lavagna sarebbe stato il terminale per un eliminazione molto spartana delle famose testate nucleari statunitensi che erano in Veneto ed altre, con scorie, provenienti dalla vicina Francia (ma sempre made in Usa/Nato). Le stesse, viene segnalato, sarebbero state fatte affondare al largo di Lavagna, 70/80 miglia, in direzione Corsica, a bordo di imbarcazioni che poi, naturalmente, avrebbero incassato pure l'assicurazione" (leggi l'articolo integrale). Nessuna smentita, nessuna richiesta di replica è giunta, e non sappiamo se i reparti investigativi otterranno mai i fondi necessari per effettuare i rilievi.

Ma andiamo avanti con l'ultimo tassello di questa prima puntata: il traffico d'armi. Qui incrociamo uno degli elementi che stanno emergendo, ovvero l'IRAN. Da tempo ci vengono segnalati traffici d'armi lungo la rotta Italia-Iran. In particolare ci è stato segnalato una sorta di impianto realizzato anni fa dalla società ITALIMPIANTI che non sarebbe stato altro che copertura di rapporti ed attività finalizzate a tale traffico.

Non dimentichiamo, poi, che ITALIMPIANTI e le sue "eredi" tra cui, su tutte, FISIA ITALIMPIANTI e FIBE, del gruppo di IMPREGILO, sono tra i principali soggetti che si occupano di impianti per il trattamento di rifiuti - come anche la POUL WHURT ITALIA spa e la TECHINT spa - e che sono tra i principali indagati per la partita rifiuti di Napoli e Campania (gli arresti dei responsabili societari disposti dalla Procura di Napoli sono stati effettuati a Genova - leggi qui).

Anche sul filone Italia-Iran, alcuni particolari utili ci sono ed auspichiamo un qualche approfondimento da parte di chi ha competenza. Infatti nonostante l'embargo della comunità internazionale all'IRAN, Genova è un ponte di affari proprio per/con lo società figlie di quella ITALIMPIANTI che in tale paese a quanto riferitoci continuano ad avere importanti affari.

Un fatto è certo ed è una di quelle coincidenze che si incontrano quando si fanno ricerche ed inchieste e che, come sempre, indichiamo. Sempre a Genova, nel grattacelo del "Matitone" (dove ha i suoi uffici anche il Comune di Genova, la cui Sindaco ha come consorte Bruno Marchese uno dei massimi dirigenti di quella ITALIMPIANTI, e che dopo essersi occupato del suo "scorporamento" è divenuto anima di IGM ENGINEERING IMPIANTI che lavora con le società del gruppo IMPREGILO), in via di Francia 3, sono presenti diverse società legate all'IRAN.

Le prime due, la IKA (con sede di rappresentanza in Italia a Genova in via di Francia 3 e sede centrale a TEHERAN) e la IRAN INTERNATIONAL ENGINEERING COMPANY - IRITEC (di nuovo con sede di rappresentanza in Italia a Genova in via di Francia 3 e sede centrale a TEHERAN), sono società costituite in base a leggi di altro Stato, ed entrambe hanno ragioni sociali affini relative ad impianti industriali e siderurgici.
La terza è la IRASCO srl, questa costituita in Italia, con sede sempre a Genova in via di Francia 3, la stessa è di proprietà per 3.060.000,00 euro della ASCOT AHWAZ STEEL COMMERCIAL & TECHNICAL SERV. (di Dusseldorf - Germania) e per 2.940.000,00 euro della IRAN INTERNATIONAL ENGINEERING COMPANI - IRITEC (di Teheran - Iran). Anche quest'ultima ha un oggetto sociale affine alle precedenti anche se ben più ampio. Da segnalare che la IRASCO srl vede come presidente del Collegio Sindacale il dott. Catalfamo Giacomo, ovvero un nome ricorrente nelle società della famiglia MAMONE - dalla DIA indicata dal 2002 come famiglia della 'ndrangheta-, come la SVILUPPO FE.AL e la ECO-GE srl al centro di molteplici inchieste della Procura di Genova, tra cui l'Operazione PANDORA, e che ha avuto pesanti e ripetute contestazioni per reati ambientali ed in particolare per illeciti smaltimenti di rifiuti speciali, tra cui interramenti e discariche abusive di amianto ed altre sostanze e materiali.

Per questa prima puntata ci fermiamo qui.

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