Pubblichiamo integralmente il capitolo su Claudio Burlando, presidente della Regione Liguria, del libro "Il Partito del Cemento"...
Quelli
che giocano e contano
Genova
è una città strana, dove la tradizionale riservatezza
che viene sventolata come un vanto talvolta somiglia alla complicità,
o addirittura, per usare una parola forte, all'omertà. Dove
il low
profile non
è soltanto senso della misura, ma anche capacità di
mimetizzarsi e di svolgere i propri giochi lontano dai riflettori e
dagli impacci.
Qui
- e chissà in quante altre città della nostra Italia
- per capire chi comanda davvero non bisogna tanto guardare chi
occupa le poltrone delle istituzioni o dei consigli di
amministrazione, ma piuttosto sedersi a un tavolo di carte. Non è
una metafora. Non soltanto.
La Genova che conta si ritrova ogni
lunedì sera al Ristorante Europa, un locale storico affacciato
sul pavimento a mosaici di Galleria Mazzini che con le sue luci
sfumate fa tanto fine Ottocento. È un rito che sotto un velo
di goliardia e di giocosità nasconde molto altro. Chissà
quanti genovesi lo sanno che tante decisioni importanti sono state
prese tra un re di picche e un asso di quadri. La capacità di
bluffare non conta soltanto nelle carte.
Per avere accesso alla
sala da gioco bisogna essere introdotti, avere l'invito di un
«socio». Genova è così, aperta verso i
nuovi arrivati, come insegna la storia del porto; ma per entrare
davvero nei giri che contano, be', allora è diverso: devi
essere almeno genovese di seconda generazione oppure conoscere
qualcuno in grado di introdurti e garantire per te.
Al piano terra
del ristorante non si nota niente: la vetrina con il pesce e le
aragoste, i tavoli con la tovaglia ocra e piatti genovesi cucinati a
mano ogni sera, il profumo del basilico e quello delle orate fresche.
Il lunedì sera, però, la scena è diversa. Quasi
inosservati, ecco arrivare uno dopo l'altro sindaci, presidenti di
Regione, imprenditori e banchieri. Scivolano tra i tavoli e imboccano
la scaletta che scompare verso il piano di sopra. È qui il
vero ritrovo: superata l'ultima porta, all'improvviso si è
avvolti da una nuvola di calore, di voci. Sembra quasi un'osteria,
un ritrovo di vecchi amici. E forse, almeno in parte, è così.
Ma ai tavoli - proprio gli stessi dove di giorno si siedono gli
impiegati in pausa pranzo - sono riuniti tutti i maggiorenti della
città. Ecco il terminalista Aldo Spinelli accanto al
petroliere Riccardo Garrone. Poco più in là l'operatore
portuale Gianni Scerni e l'imprenditore siderurgico Vittorio
Malacalza. Si gioca confortati da un rito che si ripete da anni e
cancella il tempo. Si scherza sulla fantastica trippa, magari
pensando davvero che sia un passatempo per tutti ingenuo.
Certo,
qualcuno potrebbe notare che la scena è la stessa di dieci,
vent'anni fa. E anche i protagonisti non sono cambiati. Già,
la tavolata dell'Europa è il miglior ritratto di una classe
dirigente che non si rinnova, come una foto scolastica dove gli
studenti sono sempre gli stessi, soltanto che oggi hanno i capelli
bianchi e le rughe. Ma, proprio come tra vecchi amici, a stare sempre
insieme ci si nasconde l'uno con l'altro la vecchiaia.
È
vero, qui non sono tutti amici, anche perché in palio non ci
sono soltanto le scommesse da qualche centinaia di euro. Ai tavoli
dell'Europa si consumano e si confrontano anche rancori e rivalità
decennali. Qui si ritrovano l'uno davanti all'altro armatori che
poi si fronteggiano sulle banchine o, negli ultimi tempi, anche nelle
aule dei tribunali. L'importante è esserci, mostrare che non
si è abbandonata la scena. Imprenditori, professionisti e
politici. Destra o sinistra non importa. Lasciate le aule dei
consigli, lontani dai riflettori e dagli occhi degli elettori, si
possono finalmente scambiare pacche sulle spalle, darsi del tu
stringendo alleanze in nome di una mano a scopone. Qualcuno cala un
asso e butta lì una battuta. In tanti hanno raccontato di aver
concluso affari sotto le volte dell'Europa. Basta una strizzata
d'occhio, una stretta di mano.
Anche questo è il potere:
conoscersi e riconoscersi. E il lunedì dello scopone è
una specie di bicamerale, dove non ci sono né destra né
sinistra. È un emiciclo dove ognuno rappresenta se stesso e
dove il vento giusto può soffiare da qualsiasi parte. Di
questi tempi prevale soprattutto il Maestrale.
Chi non ha accesso
alla saletta superiore dell'Europa non conta davvero, non ha quel
sigillo invisibile eppure evidentissimo. Così alle partite di
scopone del lunedì non può certo mancare Claudio
Burlando, l'uomo che da anni ormai in Liguria conta più di
chiunque altro e che nessun record di impopolarità nei
sondaggi farà smuovere di un millimetro. Che ha rapporti con
tutti i giocatori degli altri tavoli.
Amicizie
contromano
Il 16 settembre 2007 Claudio Burlando è
stato beccato mentre guidava contromano sul raccordo dell'autostrada.
Lo ha raccontato per primo Massimo Calandri su «la Repubblica»
pochi giorni dopo, il 21 settembre, poi ne hanno parlato tutti i
giornali per una settimana: Burlando, fermato dalla polizia stradale,
invece di mostrare i documenti come qualsiasi cittadino, ha tirato
fuori un tesserino parlamentare perché, dice, non aveva altri
documenti con sé. Alla fine se n'è andato senza che,
sul momento, fosse preso alcun provvedimento nei suoi confronti. Dopo
alcuni giorni, e dopo che era scoppiato lo scandalo, il prefetto gli
ha tolto la patente per un anno. È normale, dichiarano le
autorità, che la sanzione arrivi in un secondo tempo. Non
sappiamo se sia davvero così, bisognerebbe chiedere a qualcuno
che si è trovato nella stessa situazione. Burlando sostiene di
aver addirittura sollecitato il provvedimento.
Un
incidente di percorso, per fortuna non un incidente stradale. E
comunque in questa storia ci sono cose che ci hanno fatto pensare più
ancora dell'infrazione, della patente dimenticata, del tesserino e
della sanzione tardiva. Una piccola storia che qualche lettore dei
giornali e qualche politico ha snobbato etichettandola come
«accanimento» o, secondo un vecchio ritornello, come
«complotto».
Ne ha scritto Giovanni Mari in un
articolo che è comparso su «Il Secolo XIX». Il
giornalista è andato a vedere a chi apparteneva l'auto che
Burlando guidava al momento dell'incidente e ha visto che non era
di sua proprietà. Si è scoperto così che
Burlando da anni usa un'auto di Franco Lazzarini, titolare di Ital
Brokers, la più importante società di brokeraggio
assicurativo in Italia. Tutto qui? No, Burlando, come lui stesso ha
spiegato e come tutti nel suo ambiente sanno benissimo, da tempo è
ospite di Lazzarini nella sua casa. «Pago un regolare affitto»,
assicura il presidente della Regione.
Ma a questo punto la vicenda
si complica: l'opposizione di centrodestra attacca Burlando perché
Ital Brokers avrebbe ricevuto appalti dalla Regione Liguria.
Lazzarini smentisce, giurando e spergiurando che la sua società
ha stipulato contratti da pochi euro, dopo regolare gara, e che i
suoi rapporti con la Regione non hanno tratto nessun giovamento
dall'elezione di Burlando.
Queste le parole di Giovanni Mari su
«Il Secolo XIX»: «La gara in questione è
stata vinta nominalmente dal leader mondiale Marsh, che aveva scelto
come partner locale Ital Brokers. L'affare, però, a quanto
sembra, è tutto della Marsh: "A spanne, potrei dire che la
commessa in Regione ci frutta sui 10- 20mila euro l'anno -
commenta Lazzarini - perché da quando il mio amico Burlando
è presidente noi abbiamo persino smesso di fare le gare
locali". Ma Ital Brokers - prosegue Mari - ha avuto grosse
commesse anche dal centrodestra: nel 1994 ottenne in affidamento
diretto il brokeraggio per la Camera e il Senato dall'allora
governo Berlusconi tramite il sottosegretario ligure alla presidenza
del consiglio, Luigi Grillo; durante il secondo governo Berlusconi
otterrà la commessa per colossi come Fincantieri, (parte di)
Finmeccanica ed Anas».
La
questione, però, è un'altra: Franco Lazzarini, che è
un tipo piuttosto loquace, ha ammesso senza alcun problema (anche
direttamente con noi) che Ital Brokers ha siglato contratti con il
ministero dell'Interno, con molti enti pubblici e soprattutto con
le Ferrovie: «È vero. Ho ricevuto una consulenza nel
1996. Sì, quando Burlando era ministro dei Trasporti, embé,
che cosa c'è di male? Claudio non c'entra nulla con quel
contratto per il quale, anzi, eravamo in trattativa da due anni, da
quando al governo c'era Berlusconi».
Il problema a questo
punto si pone in altri termini: è opportuno che un uomo
politico di primo piano possa utilizzare gratuitamente l'auto che
gli presta a tempo indeterminato un amico, proprio quell'amico che
riceve centinaia di migliaia di euro da enti pubblici? Ed è
normale che lo stesso presidente della Regione viva nella stupenda
villa dell'amico imprenditore, pur pagando un affitto, lui giura,
al prezzo di mercato?
Qui non stiamo parlando di reati, ma di
questioni di opportunità. In Inghilterra un ministro si è
dimesso perché aveva accelerato la pratica della sua colf che,
avendone diritto, chiedeva il permesso di soggiorno. Qui, invece, il
legame tra Burlando e il suo amico Lazzarini non merita nemmeno una
risposta seria da parte degli interessati. Senza che sia chiarito
fino in fondo il ruolo di Ital Brokers nella vita di Genova e non
solo. Insomma: Burlando e Lazzarini dovrebbero fornire l'elenco
completo dei soci e degli amministratori della Ital Brokers con
relative retribuzioni, degli appalti ricevuti e delle gare cui hanno
partecipato. Invece niente: abbiamo provato a chiedere alle Ferrovie,
ma è impossibile avere notizie dei contratti di consulenza
della Ital Brokers. «È vero, c'è un contratto,
ma non possiamo fornire dettagli», dicono.
Burlando:
l'uomo più potente della Liguria
Che cosa
c'entra questa storia con il nostro libro sul cemento? Burlando è,
oggi, l'uomo più potente della Liguria. E non siamo noi a
dirlo. Non solo: come presidente della Regione è il principale
responsabile della politica urbanistica e paesaggistica in Liguria.
Il ruolo di Burlando nella costruzione dei porticcioli che stanno
invadendo la nostra terra è assolutamente decisivo. Tutti i
progetti in discussione passano sul suo tavolo. E allora, quando lui
assicura che agirà nel bene dell'ambiente, che non cederà
al cemento, noi tutti dobbiamo essere in grado di valutare quanto e
se credere alle sue parole. Dobbiamo capire quanto è estraneo
agli enormi interessi di potere e di denaro che si concentrano
intorno ai progetti che costellano la regione.
È questione
di stabilire la credibilità di una persona che ci governa.
Nessun accanimento, dunque. Nessun complotto. Così, dopo aver
letto quell'articolo di Giovanni Mari ci siamo messi in testa di
fare una piccola indagine. Roba di un giorno, forse due. Niente di
impossibile per un cittadino qualunque che abbia voglia di
informarsi. Grazie a internet tutti possiamo fare delle inchieste e
poi valutare.
Come prima cosa, quindi, abbiamo acceso il computer
e abbiamo fatto una breve ricerca sul passato di Burlando. All'inizio
sono emerse le solite storie: l'arresto, nel 1993, e poi
l'assoluzione con tanto di risarcimento per l'ingiusta
detenzione. In breve, Burlando, allora vicesindaco di Genova, aveva
contrattato per il Comune la realizzazione dei parcheggi e del
sottopasso di Caricamento, in pieno centro storico. Erano opere
considerate decisive per le Celebrazioni Colombiane del 1992.
L'accusa sosteneva che l'allora vicesindaco e assessore
all'Urbanistica avesse offerto all'Ansaldo una somma spropositata
per fini che nessuno è mai riuscito a chiarire. Alla fine
Burlando fu assolto per non aver commesso il fatto. Punto e basta:
poco importa che i magistrati abbiano espresso perplessità sul
suo comportamento di amministratore. I guai, scrisse il giudice di
primo grado che doveva decidere dell'appalto per i parcheggi,
«risultano essere dipesi dalla sottovalutazione dell'interesse
urbanistico in gioco, accompagnata dalla disattenzione per gli
elementi di fatto». In pratica Burlando si recò alla
trattativa per un appalto da decine di miliardi di lire senza aver
letto la relazione dei suoi uffici e «senza conoscere neppure
in via approssimativa i termini economici delle questioni che
pretende di decidere».
Mentre
per la vicenda del sottopasso: «Non si vuole affermare -
scrisse il Tribunale - che Burlando abbia agito nel migliore dei
modi nel contenimento della spesa». Il magistrato ricorda che
il vicesindaco non ha agito per vantaggio patrimoniale e che anche il
vantaggio non patrimoniale, cioè «l'aumento del
prestigio», sarebbe «una mera ipotesi». Che
Burlando, conclude il magistrato, «in altra occasione, e per un
fatto che non interessa la giustizia, abbia tenuto un atteggiamento
di benevolenza» nei confronti di una delle persone interessate
dall'indagine «non è indice di dolo specifico per il
reato». La persona in questione è Rossana Revello,
titolare di un'importante agenzia di comunicazione, che ritroveremo
più avanti per un altro caso.
Insomma, possiamo anche
discutere se una trattativa condotta in modo forse approssimativo
debba influenzare la carriera di un politico che si propone di
amministrare una regione o un paese, ma Burlando sembra aver pagato
perfino troppo per quella storia.
Comunque basta parlare del
passato, soprattutto se non si può arrivare a stabilire niente
di nuovo. Basta anche parlare della contestata esperienza di Burlando
come ministro dei Trasporti oppure delle accuse che gli ha mosso
Calisto Tanzi: «Burlando ha ricevuto un miliardo di lire da
Sergio Piccini [capo delle società turistiche di Tanzi, Nda]».
Il caso è stato archiviato: l'unico testimone è morto
e Burlando ha denunciato Tanzi per calunnia: «Altro che
tangenti - dice Burlando - io ho fermato i suoi piani e ora
voglio giustizia non prescrizioni o amnistie».
Certo, anche
qui sorge spontaneo un dubbio:
perché un uomo che è già nei guai fino al collo
dovrebbe peggiorare ulteriormente la sua situazione mettendosi a
calunniare una persona innocente? Ma potrebbe benissimo essere anche
vera l'ipotesi che sembra avvalorare la denuncia di Burlando:
Tanzi, proprio perché non ha più nulla da perdere, si
permette ormai qualsiasi cosa.
La
vicenda, emersa alla vigilia delle elezioni regionali del 2005, è
chiusa.
Ma adesso atteniamoci al presente. Proviamo a tracciare
noi un quadro della situazione senza dipendere dalle parole di
persone coinvolte in scandali colossali. Proviamo a capire quale sia
il legame tra Burlando e Lazzarini. Internet e gli archivi dei nostri
giornali ci raccontano di un'amicizia coltivata anche sui campi di
pallone: Claudio e Franco sono buoni giocatori. I cronisti raccontano
con simpatia la passione del politico mezzapunta, si incuriosiscono
vedendo i potenti della città che dismettono il gessato per
vestire i pantaloni corti. Che dimenticano alleanze politiche in nome
di una maglietta a righe. A leggere gli articoli, però, scopri
un fenomeno tutto italiano: il campo da gioco diventa luogo per
incontrarsi e coltivare amicizie. Si sviluppa una sorta di fedeltà
calcistica tra persone che poi svolgono ruoli chiave nella vita della
città: imprenditori, politici, pubblicitari, alti magistrati.
Quando parli con Lazzarini non perde occasione per elencarteli tutti,
magari cercando comuni conoscenze. Eh già, l'uomo che ti
passa la palla, che fa la doccia con te negli spogliatoi diventa
anche tuo amico fuori dal campo.
Ma
andiamo avanti e cerchiamo di ricostruire di che natura sono davvero
i legami tra Burlando e Lazzarini. E in che ambiente si
muovono.
Soffia
il Maestrale
Tanto
per cominciare, Franco Lazzarini è uno dei promotori
dell'associazione di Burlando che si chiama Maestrale. Qui dobbiamo
soffermarci un bel po', perché senza dubbio si tratta di un
soggetto chiave per capire l'idea di politica che domina a Genova.
Ma non solo. Il manifesto indica le finalità dell'associazione
fondata da Burlando:
[Maestrale]
pone quindi alla sinistra il problema di innovarsi, di aprirsi alle
realtà sociali emergenti, e di costruire nuovi strumenti di
rapporto con la società genovese e ligure. Questa esigenza è
ancora più avvertita perché la sinistra non dispone più
di sedi culturali, quali il Gramsci e il Turati, che hanno favorito
per molti anni un proficuo rapporto con la nostra comunità. I
Promotori di questa Associazione culturale ritengono importante dar
vita ad un luogo di riflessione, di elaborazione e di confronto,
offrendo al tempo stesso alla città e alla regione
un'occasione di impegno sociale e di partecipazione politica.
Politica e cultura possono vivere e crescere solo insieme, e la
politica senza cultura è condannata ad avere respiro
corto.
Questo è il senso di Maestrale - almeno
per come espresso nel manifesto -, un'associazione che organizza
convegni in città e raccoglie adesioni in tutta Italia. Ma
forse non dobbiamo accontentarci di ciò che l'associazione
dice di sé. Prima di farci un'idea precisa dobbiamo provare
a vedere chi sono le persone che la animano. Scorriamo allora
l'organigramma, una lista di quasi cento nomi. Dentro, è la
prima impressione scorrendo l'elenco, ci sono persone di tutte le
provenienze e di molti orientamenti diversi: dallo psicologo Paolo
Crepet a grandi attori come Mariangela Melato e Moni Ovadia, passando
per personaggi televisivi come Claudio Bisio e Maurizio Crozza (con
moglie). Sono questi i nomi che attirano l'attenzione, che oscurano
quasi gli altri.
Però, dopo esserci soffermati sull'elenco
dei membri, uno per uno, abbiamo provato a rileggere la lista e quasi
senza che ce ne accorgessimo è emerso un altro quadro,
completamente diverso, fatto di nomi che ai genovesi dicono poco e
agli altri addirittura nulla. Tante figure legate da un filo rosso.
Proviamo a seguirlo. Non è difficile, può farlo
chiunque (magari anche nella classe politica, se lo si volesse), non
occorrono particolari mezzi. Per prima cosa abbiamo incrociato i nomi
dei 99 promotori di Maestrale con quelli delle persone che hanno
ricevuto incarichi dalla Regione durante il mandato di Claudio
Burlando (http://crweb.regione.liguria.it/ElencoNominativi.asp).
C'è voluto un po' di tempo, ma la ricerca è stata
fruttuosa. Bene, quasi il 10 per cento dei sostenitori
dell'associazione privata Maestrale ha avuto una nomina dall'ente
pubblico guidato dallo stesso presidente dell'associazione. Certo,
dirà qualcuno, è logico che un uomo politico peschi tra
persone di fiducia. Ma qualche maligno potrebbe anche dire che
attraverso l'amministrazione si ricompensa la fedeltà degli
amici.
Noi diciamo che, a pensarci prima, tanto per non sbagliare,
ci iscrivevamo al Maestrale. Magari diventavamo presidente della
Filse, la finanziaria regionale, come Edoardo Bozzo (consigliere di
amministrazione di Maestrale), che il 5 luglio 2005 ha ottenuto la
prestigiosa e ambìta poltrona. Oppure membro della sezione
regionale di controllo della Corte dei Conti, come Simone Stagnaro,
nominato il 22 novembre 2006 su diretta designazione della giunta
presieduta da Burlando (così è scritto sul sito della
Regione). Magari un posto nell'ombra, ma è sempre utile
sapere che a occuparlo e a compiere quel controllo è una
persona di stretta osservanza. C'è poi Piero Lazzeri, uno
spedizioniere che il 7 aprile 2006, con nomina della giunta, si è
ritrovato a occupare una poltrona in un ambito apparentemente diverso
da quello di sua competenza, nell'Ente Teatro Stabile di Genova. O
ancora Marcello Danovaro, finito nella Consulta per le attività
culturali. Lui, almeno, aveva un'esperienza specifica (oltre che
una provata fede politica, essendosi candidato alle elezioni comunali
per il centrosinistra). Giovanni Pisani, infine, l'11 luglio 2007 è
stato nominato nel consiglio di amministrazione di Sviluppo Genova
Spa. E qui spunta di nuovo fuori, in qualche modo, il nostro amico
Lazzarini, perché Pisani è socio di Interconsult, a sua
volta socia di Ital Brokers. Non è il solo. Con lui tra i
promotori di Maestrale ci sono altri due soci di Interconsult: Alcide
Rosina e Franco Pronzato. Un groviglio inestricabile, ma alla fine il
filo rosso si trova.
Otto su 99, non è male. Senza contare
alcune omonimie che saltano all'occhio, ma i controlli sui parenti,
le mogli, i figli e i fratelli non sono possibili. Ed è
soltanto l'inizio. Nell'elenco ci sono anche persone che occupano
posti di rilievo in enti a controllo pubblico e che vengono nominate
anche dalla Regione o, comunque, dagli enti locali. Prendiamo per
esempio Marco Arato, avvocato e presidente («senza deleghe»,
mette sempre le mani avanti l'interessato) del consiglio di
amministrazione dell'aeroporto. Un posto non da poco, soprattutto
in un momento in cui a Genova ci si sta scannando per decidere sulla
composizione dell'azionariato dell'aeroporto e sull'eventuale
privatizzazione. «Sono molto amico di Burlando», ammette
Arato, un noto avvocato, che da almeno dieci anni sui giornali è
indicato come un «Burlando-boy».
Anche Beppe Pericu,
ex sindaco di Genova e promotore di Maestrale, siede nell'ambìto
consiglio di amministrazione dell'aeroporto («ma senza
ricevere alcun compenso», ha sempre specificato).
Infine un
altro piccolo cenno a Franco Pronzato, proprio il socio di Pisani, di
Rosina e di Lazzarini. «Manager di lusso dell'area
marittimo-portuale», lo hanno definito i giornali. E chissà
che cosa intendevano. Pronzato è stato consulente del ministro
Pierluigi Bersani e, dopo essere stato nominato nel cda
dell'aeroporto di Genova, è finito nel consiglio di Enac
(Ente Nazionale per l'Aviazione Civile).
C'è poi Luigi
Negri, presidente di Terminal Contenitori Porto di Genova Spa e di
Assiterminal, l'associazione aderente a Confindustria che
rappresenta i terminalisti (cioè gli operatori che gestiscono,
appunto, i terminal dove vengono scaricate le merci). E qualche riga
più in basso si ritrova Paride Batini, l'uomo che per
longevità di potere farebbe invidia a Fidel Castro e che
stretto nel suo eskimo guida da decenni la Culmv (Compagnia unica
lavoratori merci varie), la cooperativa dei camalli genovesi che dà
lavoro a oltre mille persone e a Genova, a ragione, è
considerata un'istituzione. Un personaggio, Batini, che da queste
parti a metterlo in discussione si rischia di essere accusati di
bestemmia.
Eppure è accaduto e per molti è stato
come svegliarsi d'improvviso e scoprire che le vecchie divisioni,
politiche, ideologiche, di classe come si diceva una volta, son
venute meno in nome di interessi comuni e trasversali che hanno come
unico obiettivo il potere. È successo con l'inchiesta
«Fronte del porto » sulle trame che stavano dietro
l'assegnazione delle banchine e dei terminal, e che ha coinvolto
l'ex presidente dell'Autorità portuale Giovanni Novi,
ricco broker con la passione della vela, l'impenetrabile docente di
diritto Sergio Maria Carbone, consigliere di Finmeccanica, e poi
armatori come Aldo Spinelli e Aldo Grimaldi e molti altri ancora,
compreso appunto il console comunista.
Le oltre quattromila pagine
raccolte dai pm genovesi Walter Cotugno, Enrico Zucca e Mario
Morisani, contengono anche centinaia di intercettazioni telefoniche.
Una volta c'erano i grandi romanzieri, i Tolstoj e i Mann, che
tracciavano un ritratto della società del loro tempo. Oggi, in
attesa di uno scrittore che sappia racchiudere in un volume lo
spirito di questi anni, le intercettazioni stanno diventando un
genere letterario, capace di descrivere in modo crudo, ma del tutto
realistico, il mondo del potere. È accaduto per Antonveneta,
succede, in chiave locale, per l'inchiesta sul porto di Genova.
Centinaia di colloqui in cui l'oggetto principale della
conversazione sembra essere il potere, in molte declinazioni diverse.
Centinaia di conversazioni in cui finisce anche Burlando, mentre
parlando con Novi, discute delle nomine dei consiglieri
dell'aeroporto Cristoforo Colombo.
Burlando:
«Sta' un po' a sentire, Giovanni».
Novi:
«Dimmi Claudio».
Burlando:
«Ho visto Bianchi poco fa, Tirreno Bianchi».
Novi:
«Ah bene, sì».
Burlando:
«Che mi ha detto che l'impegno era che appena andava giù
Pronzato [?] si apriva uno spazio per [omissis]».
Novi:
«Ah sì, io... io ho un problema, tu lo sai, di Claudio
Scajola [Scagliola
nell'inesatta trascrizione, Nda],
eh». [Annotano i finanzieri: «Novi ride»].
Burlando:
«Ma chiamatelo un po' Tirreno, va'».
Novi:
«Io lo chiamo Tirreno, sicuramente, non c'è problema».
Burlando:
«E beh, adesso però questo è alla nomina
[omissis]
tra virgolette "nostra", teniamola lì, dai».
Novi:
«Semmai dico no, semmai dico a Simeone di andare via, guarda».
Burlando:
«Sì, va bene».
Novi:
«A Scajola magari un posto glielo diamo poi».
Burlando:
«Chiama un po' Tirreno».
Novi:
«Chiamo io Tirreno, stai tranquillo».
Burlando:
«Che è uno che in questi mesi ci può aiutare».
Novi:
«Sì, sì, sicuramente».
Burlando:
«Essendo molto amico del ministro».
Novi:
«Sì, ci penso, lo chiamo oggi stesso».
Burlando:
«Nonché omonimo [Alessandro Bianchi è ministro
dei Trasporti,
Nda]».
Novi:
«È vero» (ride).
Burlando:
«Va bene, ciao».
Novi:
«Ok, ciao Claudio».
In
queste poche battute entrano in scena diversi protagonisti della vita
pubblica della Liguria. Il primo è Burlando. Il secondo è
il ministro del nuovo governo di centrodestra, Claudio Scajola.
Il
terzo nome è quello di Tirreno Bianchi, console della
compagnia portuale Pietro Chiesa (detta dei
carbunìn),
consigliere regionale del Pdci e membro dell'associazione
Maestrale. Che spiega: «So soltanto che Novi, a un certo punto,
mi ha chiamato e mi ha chiesto se volevo fare il consigliere
d'amministrazione al Colombo. Io ho detto sì, ma che prima
avrei dovuto valutare se quell'incarico era compatibile con quello
in Regione».
Infatti
poi Novi ne parla il giorno successivo con Sergio Maria Carbone.
Novi:
«Scusa Sergio, ho parlato con Claudio Burlando di Tirreno
Bianchi, ehm... al posto di Pronzato farebbero volentieri Tirreno
Bianchi».
Carbone: «Ma metti lui!».
Novi:
«È molto vicino al ministro, no? Ecco, non c'è
incompatibilità, no?».
Carbone:
«Poi semmai lo dirà lui».
Il
ministro di cui si parla, solo omonimo del consigliere regionale, è
come detto Alessandro Bianchi, responsabile del dicastero dei
Trasporti del governo Prodi. E Tirreno Bianchi non nega l'amicizia
di vecchia data: «Abbiamo militato sotto la stessa bandiera,
poi lui si è spostato ma la stima rimane intatta».
Poi
compare Franco Pronzato, anche lui, come si diceva, legato a Burlando
da molti fili. Conferma Pronzato: «È vero, ho lasciato
il mio posto di consigliere prima ancora di sapere se sarebbe stato
incompatibile o meno. Mi sono dimesso il 15 ottobre e sono stato
nominato all'Enac il 19 dicembre».
Così rimane
libero un posto in consiglio di amministrazione: quello di Pronzato.
E come sembra di intuire dalla conversazione tra Burlando e Novi,
Tirreno Bianchi approda senza troppa opposizione nel consiglio di
amministrazione dell'aeroporto. Novi parla anche di Simeone. Il
riferimento è all'avvocato Giorgio Simeone, che siede in
effetti nel cda e, fino all'aprile 2008, non aveva ancora
abbandonato il suo incarico.
Niente di illegale, dunque, soltanto
la dimostrazione dell'intreccio di legami in cui si muovono il
presidente e i soci di Maestrale. Un groviglio in cui il cittadino
comune alla fine si perde.
La lista dei nomi che contano tra i
soci di Maestrale non finisce qui. C'è anche Savina Scerni,
moglie del noto imprenditore Gianni Scerni (terminalista e membro del
cda della Carige) e socia della Politeama Spa, società che dal
1994 gestisce uno dei teatri storici della città.[1]
C'è poi Mario Giacomazzi, immobiliarista. E qui
ritroviamo l'oggetto del nostro discorso: il
cemento.
L'immobiliarista
e l'esperta di comunicazione
Mario
Giacomazzi, in un'intervista realizzata dalla pubblicazione
«Economia immobiliare»,[2]
dopo essersi vantato del buono stato di salute del gruppo,
grazie a due operazioni edilizie non proprio ben viste dalla
popolazione (a Genova e a Cavi di Lavagna), tutto soddisfatto
racconta la sua attività sottolineando che «l'anima
operativa del gruppo, rivolge una particolare attenzione verso le
pubbliche amministrazioni, viste le numerose consulenze tecniche
svolte a più riprese per Comune di Genova, Provincia di Genova
e Regione Liguria».
Insomma, dalle parole dell'imprenditore
sembrerebbe di capire questo: Giacomazzi costruisce, e i suoi
progetti devono essere approvati dagli enti locali.
Ma Giacomazzi
è noto anche perché nel marzo 2008 è stato
nominato presidente della sezione immobiliare di Confindustria
Genova. E ancora: lo stesso Giacomazzi, a capo di un gruppo florido
con 35 dipendenti e 70 milioni di euro di nuova edilizia appaltata,
vorrebbe costruire un nuovo stadio a Genova. Perché è
stato vicepresidente della Pro Recco di pallanuoto, e sta realizzando
il contestato intervento di via Puggia nel quartiere di Albaro (27
appartamenti di lusso e un piano interrato di posti auto nel polmone
verde di Villa Gambaro) assieme a un altro sostenitore di Maestrale,
l'architetto Vittorio Grattarola, proprio quel Grattarola che da
assessore all'Urbanistica condivise con Burlando la disavventura
giudiziaria, l'arresto e l'assoluzione. Quel Grattarola che si è
ritirato dalla politica attiva e adesso si è lanciato in una
carriera singolare: architetto e autore di successo di testi
televisivi. Grattarola è una figura che ricorre spesso in
queste storie: ne parleremo in un altro capitolo del
libro.
Dimentichiamo qualcuno, senz'altro, perché qui
dentro nell'associazione Maestrale ci sono tutti, almeno quelli che
a Genova contano. Come Giacomo Deferrari, preside della Facoltà
di Medicina e candidato in pole position alla carica di rettore.
Oltre che, ovviamente, fedelissimo di Burlando. Nel maggio 2008, a
due mesi dalle elezioni per la poltrona più importante
dell'università, è emerso che la società
genovese di comunicazione Chiappe Revello ha ricevuto negli ultimi
dieci anni almeno 260mila euro di consulenze proprio dalla Facoltà
di Medicina e da alcuni dipartimenti collegati. Rossana Revello,
amministratrice della società, e citata in precedenza nella
sentenza di assoluzione di Burlando, è anche moglie di
Deferrari. «Quando la Chiappe Revello ha vinto la regolare gara
per la consulenza, Rossana Revello e io non avevamo alcun legame
personale. Non la conoscevo neanche», spiega Deferrari. È
vero, però, che anche dopo l'inizio del legame le consulenze
- decise direttamente da Deferrari o dai direttori dei singoli
dipartimenti - sono continuate. Una questione di opportunità?
«Che cosa avrei dovuto fare, rinunciare alle consulenze con i
professori di Medicina soltanto perché mio marito era
preside?», chiede Revello. E aggiunge: «La Chiappe
Revello è una società nota in tutta Italia».
Vero, tanto che la signora Deferrari aggiunge: «Noi abbiamo
avuto consulenze anche con altri enti pubblici, come il ministero dei
Trasporti». Scusi, ma chi era ministro allora? «Burlando,
ma erano tutte consulenze gratuite», giura Revello. Come
gratuite furono le consulenze al Pci per le amministrative del 1990.
Carlo Barile, il giudice che assolve Burlando per il caso del
sottopasso di Caricamento ricordato in precedenza, scrive: «La
Revello spiegava che aveva offerto la sua attività gratuita a
Burlando che conosceva da tempo come una sorta di autopromozione al
fine di fare conoscere la sua agenzia nel mondo politico».
L'anno dopo Burlando segnalava all'allora sindaco Romano Merlo
l'agenzia Chiappe Revello per un incarico questa volta
retribuito.
Medici,
direttori sanitari e una foto di troppo
Se
ancora non bastasse, si possono leggere i nomi dei componenti delle
varie commissioni di Maestrale. Una per tutte, quella dedicata alla
«Sanità». In poche righe troviamo una
concentrazione impressionante di medici e dirigenti sanitari che
Burlando e la sua giunta hanno promosso al ruolo di primario e di
dirigente sanitario. Alcuni sono passati grazie a una norma,
l'articolo 15-septies
della
legge del 1999, che consentiva la nomina di medici senza
concorso.
C'è per esempio Valter Ferrando, nominato
responsabile della «struttura semplice» di chirurgia
oncologica. Una nomina che in città ha destato più di
una polemica. A cominciare dalle accuse del professor Edoardo Berti
Riboli che, durante la relazione al convegno della Società
Ligure di Chirurgia, sferrò un attacco davanti a centinaia di
medici che tacevano e si davano di gomito: «Ci sono chirurghi
che non hanno mai davvero esercitato, ma vengono promossi grazie alla
loro lunga e fedele militanza politica». Un riferimento a
Ferrando, sostengono i colleghi maligni, che avrebbe esercitato
essenzialmente come odontoiatra e che, oltre a essere membro di
Maestrale, si è presentato alla primarie per l'assemblea
nazionale del Partito democratico nella lista «Democratici con
Veltroni». Che ha posato anche per il manifesto elettorale di
Luigi Cola, ex sindaco diessino di Cogoleto e membro, manco a dirlo,
dell'associazione politica Maestrale (commissione «Tra
universalismo e federalismo»).
Lui, Valter Ferrando, cita il
record di centoventi resezioni colonrettali l'anno e assicura:
«Sono stato promosso con concorso. A nominarmi è stato
il centrodestra. È vero, ho partecipato alle primarie del Pd,
perché ci credo. Ma è mio diritto di cittadino e poi
non ho mai avuto incarichi pubblici. E per quanto riguarda il mio
lavoro vi invito ad andare a vedere le statistiche degli interventi
che ho compiuto». E il passato da dentista? «È una
delle mie specialità. Mi ha aiutato a mantenermi mentre
perfezionavo i miei studi, perché io non sono ricco di
famiglia.»
Del resto sarebbe soltanto uno dei tanti casi
discussi. Facciamo qualche esempio. Grazie al famigerato articolo
15-septies,
la Regione Liguria ha nominato 38 capidipartimento in due anni. Tra
questi risulta tra l'altro Ermanno Pasero, nominato alla guida del
neonato dipartimento responsabile dell'informatizzazione del
megaospedale genovese di San Martino. Be', un ottimo medico
senz'altro, anche lui iscritto al Maestrale.
Si potrebbe andare
avanti a lungo. Magari passando per Marco Comaschi, nominato, senza
concorso, direttore dell'Unità operativa di medicina
generale e membro della commissione Sanità di Maestrale.
C'è
poi il capitolo dei direttori generali e sanitari. Gli uomini,
insomma, che prendono le decisioni che contano. Che governano gli
ospedali e la sanità delle regioni. Ecco allora Giovanni
Orengo, marito dell'onorevole Roberta Pinotti (ministro della
Difesa nel governo ombra del Partito democratico), membro della
commissione Sanità nella «bicamerale» di Maestrale
e promosso non senza polemiche a direttore sanitario dell'azienda
ospedaliera di San Martino, una delle più grandi d'Italia.
Oppure Mario Fisci, nominato direttore sanitario della Asl 3
genovese, una delle tre più grandi d'Italia. Sulla sua
nomina, e sulla sussistenza dei requisiti, la stessa Regione nel 2008
ha sollevato dei dubbi.
Ma il capitolo più singolare è
un altro e ruota intorno a un calendario. No, niente di sexy,
tutt'altro. Stiamo parlando del calendario elettorale che Claudio
Burlando diffuse prima delle regionali del 2005 (da lui vinte contro
Sandro Biasotti, candidato del centrodestra). Bene, in quel
calendario Burlando compariva ritratto con figure del mondo del
lavoro. Ogni mese una categoria diversa. Ed ecco anche i medici e gli
infermieri. Una foto elettorale come tante, finita nei cassetti di
qualche scrivania delle sezioni dei Ds. Ma due anni dopo le elezioni,
durante l'inchiesta giornalistica sulla sanità ligure (da
cui è nato poi un caso nazionale) una lettera anonima, una
delle tante sempre senza nome che arrivavano a «Il Secolo XIX»,
consigliò ai cronisti di andare a rispolverare quel
calendario. A gennaio Burlando posa con sindaci e presidenti delle
province. A febbraio tocca agli operai, poi ai camalli. Quindi ci
sono floricoltori, membri di bocciofile, raccoglitori di olive,
consumatori, commercianti... ed ecco la sorpresa: Burlando compare
attorniato da medici e infermieri dell'ospedale San Paolo di
Savona, tutti suoi sostenitori. Bene, dopo una piccola ricerca è
emerso che nei due anni successivi alla fotografia scattata per il
calendario almeno sei di quei medici sono stati promossi. Uno è
diventato capodipartimento, altri due primari e altri due sono stati
posti a capo di strutture semplici. Certo, alcuni sono medici
preparati e c'è anche chi, in quella foto, ci è
finito quasi per caso (e ora non sa come scrollarsi di dosso il
marchio di raccomandato), ma resta la coincidenza.
E restano poi
alcuni retroscena singolari, a cominciare da una gara
«monoconcorrente». La polemica scoppia quando il dottor
Lionello Parodi (sindaco di Albisola Superiore, membro
dell'associazione culturale Maestrale di Claudio Burlando e
«modello» del calendario) viene nominato direttore
dell'Unità operativa di medicina interna. Il documento 351
del 27 aprile 2006, cioè il «conferimento d'incarico»
non placa le acque. Qualcuno fa notare che la commissione è
composta da tre persone: il direttore sanitario (nominato dal
direttore generale a sua volta nominato dalla Regione), un componente
designato dal collegio di direzione e uno scelto dal direttore
generale (a sua volta, ripetiamo, nominato dalla Regione). Compito
della commissione è individuare una terna di nomi, tra i quali
poi il direttore generale (Franco Bonanni, appunto, nominato nel 2005
dalla giunta regionale presieduta da Burlando) sceglierà il
vincitore. Ma la scelta non è difficile: negli atti si legge
infatti che il 31 marzo 2006 i membri della commissione chiamati a
indicare i nomi idonei fanno l'appello tra i candidati: il primo è
assente, il secondo anche. Alla fine si presenta e rimane in gara
soltanto Lionello Parodi. In pratica un concorso che vede Parodi in
lizza contro se stesso. E infatti vince. «Preso atto che il
dottor Lionello Parodi è risultato idoneo al conferimento
dell'incarico di cui trattasi - scrive il direttore generale
Franco Bonanni - delibera di conferire al dottor Lionello Parodi
l'incarico quinquennale di direttore dell'Unità Operativa
di Medicina Interna.»
Ma non è il solo caso. Accanto
a Parodi nella fotografia dell'agosto 2005 compare il dottor
Vincenzo Ingravalieri. Ottimo professionista, stimato da tutti a
Savona. Il punto in discussione, però, non è questo: un
anno dopo lo scatto della foto, Ingravalieri ottiene la guida di un
reparto che prima nemmeno esisteva. La delibera 561 del 29 giugno
2006 del direttore generale della Asl 2 Liguria riporta: «Preso
atto dell'elenco dei candidati idonei al conferimento dell'incarico
quinquennale che risulta essere composta da Ingravalieri Vincenzo e
Marabotto Massimo [anche lui fotografato nel calendario di Burlando,
occupa però sempre la stessa posizione, Nda],
rilevato che il dottor Ingravalieri presenta i necessari requisiti
professionali e di capacità organizzativa [...] delibera di
conferire al dottor Ingravalieri l'incarico quinquennale di
direttore dell'Unità Operativa di Day Surgery». Il
provvedimento è firmato dal direttore generale, sempre
nominato dalla Regione. La commissione è composta dal
direttore sanitario (di nomina regionale), dal componente del
collegio di direzione e dal componente individuato dal direttore
generale. Insomma, non si va molto lontano. Ora non si vuole
assolutamente dire che ci siano state irregolarità. Non è
una questione penale, semmai politica e di opportunità. Del
resto anche Ingravalieri è medico stimato in città.
Ci
sarebbe poi da dire di Marco Bertolotto, che appare nella foto di
gennaio come presidente della Provincia di Savona (Margherita). Anche
lui è medico ed è stato nominato primario mentre era in
carica e mentre governava la giunta Burlando.
La storia di queste
tre nomine è rimasta nel silenzio per anni, ma una volta
esplosa, è finita sulla bocca di tutti. Suscitando commenti di
ogni genere. E la difesa degli interessati: «Chiedete ai miei
pazienti - assicura Ingravalieri - sono tutti soddisfatti del
trattamento che riserviamo loro. Li seguo sempre. Ho dedicato la mia
vita a questo lavoro. Io avevo diritto a quel posto, anzi, ne ho
rifiutato altri anche in ospedali più grandi pur di restare a
Savona, al San Paolo». Va bene, ma la sua militanza politica,
quelle foto? «Io sono stato consigliere comunale dei Ds, è
vero. Ma ormai quello appartiene al passato. Ora penso soltanto alla
mia professione di medico.»[3]
Maestrale
si definisce associazione politico-culturale, ma è difficile
negare che sia anche un centro di potere tipicamente genovese. Anzi,
italiano. Chi passa di qui ha una possibilità su dieci di
ottenere una nomina dalla Regione. O magari da altri enti locali. O
nazionali.
Maestrale esiste dal 2003, ed è strano che a
nessuno sia mai venuta la curiosità di fare qualche controllo.
Di porre la questione e chiedere spiegazioni (che senz'altro ci
sono, per carità). Ci voleva così poco: un pomeriggio
speso a smanettare su internet, una mattina alla Camera di Commercio
per fare due visure, una ricerca presso gli archivi dei giornali.
Ma
forse le risposte a questo silenzio sono altre. Ormai tutto sembra
normale. Certe anomalie sembrano un corollario di qualsiasi forma di
potere. Forse ci fanno conto gli stessi «politici»
(tutti, non parliamo delle persone di cui ci stiamo occupando) che
ormai confidano su una certa rassegnazione. In un disincanto
collettivo.
Il
crac Festival
Proviamo
a scavare ancora un po'. L'accoppiata Burlando-Lazzarini ha fatto
ricordare al giornalista Marco Menduni de «Il Secolo XIX»
una storia vecchia che conservava nel suo archivio. Stava scrivendo
del crac della compagnia crocieristica Festival dell'armatore
cipriota Giorgio Poulides, che per Genova fu una specie di Parmalat.
Fu un fallimento colossale, forse il più grande della
marineria italiana, per quanto oggi sia finito nel dimenticatoio con
centinaia di persone che ancora attendono i loro soldi.
«Non
sono io, si tratta di un evidente caso di omonimia». Così
Claudio Burlando liquidò la questione del fallimento di
Festival Crociere. Era il 12 maggio 2005. Tra le carte dell'inchiesta
su Giorgio Poulides e sul crac del suo gruppo spuntarono i documenti
relativi alle «folli» spese di rappresentanza sostenute
dalla Festival. Il 30 settembre 2003 ecco annotate tre voci che
subito attirano l'attenzione degli inquirenti: «Appartamento
per Burlando C., 495 euro, appartamento per Lazzari F. 370 euro,
appartamento per Bisio Marisa, 370 euro». Subito «Il
Secolo XIX», attirato da quel cognome e da quel nome puntato,
interpellò Burlando per sapere se fosse il destinatario di
quella somma pagata dall'armatore poi fallito. Il presidente della
Regione (eletto appena un mese prima) negò risolutamente di
essere quel «Burlando C.» e di aver mai ricevuto un solo
euro da Poulides. «Un'omonimia», ribadì. Era una
coincidenza anche che nella riga successiva ci fosse un nome,
«Lazzari F.», che tanto ricordava quel Lazzarini Franco,
amico fraterno del presidente della Regione. È stato proprio
questo episodio a riaccendere in Menduni la curiosità su quel
foglio dimenticato in fondo agli armadi. Il terzo nome di quella
breve lista era infatti quello di una persona sconosciuta
all'opinione pubblica: «Bisio Marisa». E il fatto che
nell'elenco fosse compreso anche quel nome aveva accreditato
l'ipotesi di un'omonimia. Dopo lunghe ricerche ecco allora
riemergere una circostanza che potrebbe riaprire il caso e richiedere
ulteriori chiarimenti sia da parte di Claudio Burlando sia di Franco
Lazzarini. Ecco, il terzo nome compreso nella lista di Poulides è
uguale a quello della madre di Lazzarini che si chiama, appunto,
Marisa Bisio. Dicono i dati dell'anagrafe che nel 1948 Marisa Bisio
sposò Manlio Lazzarini e che il 9 febbraio 1950 nacque il
figlio Franco. Ma anche senza andare agli atti ufficiali, sarebbe
bastato chiedere agli amici e agli stessi parenti del numero uno di
Ital Brokers: «Marisa è la mamma di Franco?».
Insomma, che si tratti davvero di un caso di tripla omonimia?
La
circostanza è ancora più strana perché in tutto
l'elenco delle spese di Poulides i tre sono gli unici citati con
cognome e nome (anche se in due casi puntato) come percettori di una
pur piccola «spesa di rappresentanza» a carico di
Festival, mentre tutte le altre uscite riportano voci generiche oltre
a un «pag. flight» (forse il pagamento di volo?) di
4.094,32 euro a favore di «Mr. e Mrs. Billé» (a
questo proposito nessun elemento, anche se un'omonimia, per quanto
certo non frequente, rimanda alla famiglia dell'allora potentissimo
presidente della Confcommercio).
Ma per chiarire il più
possibile la situazione, «Il Secolo XIX» ha chiamato
tutti i «Burlando C.» presenti sugli elenchi telefonici
italiani. Sono sedici persone: casalinghe, pensionati, avvocati,
commercialisti, geometri. Tutte hanno risposto di non aver avuto mai
alcun rapporto con il signor Giorgio Poulides. «Non so neanche
chi sia», ha risposto la grande maggioranza degli interpellati.
Ancora: «Abbiamo fatto una crociera su una nave Festival, ma
non conosciamo nessun armatore. Purtroppo », hanno dichiarato
altri. «È un armatore greco, mi pare», ha spiegato
un ex comandante di nave che, però, ha aggiunto: «Non ho
mai avuto alcun rapporto personale né professionale con
lui».
Certo, potrebbero esistere altri «Burlando C.»
non compresi nell'elenco telefonico. Ma non c'è dubbio che
il Claudio Burlando oggi presidente della Regione conoscesse
l'armatore cipriota. Non è mistero infatti che Poulides sia
entrato direttamente in campo nel G8 del luglio 2001 a Genova. Al G8
Poulides risolve tutti i problemi relativi all'ospitalità
dei «grandi della terra». Almeno, di sette su otto. Con
l'eccezione di George W. Bush, che sta su una nave a parte, gli
altri, da Blair a Putin, da Chirac a Schröder, da Chrétien
a Koizumi, da Berlusconi a Prodi, sono a bordo della European
Vision,
considerata la nave più lussuosa del mondo, una fortezza
supertecnologica. Il momento di gloria di Poulides, che finisce agli
onori del mondo per la sua straordinaria ospitalità, viene
però offuscato dal crollo del suo gruppo imprenditoriale.
Nemmeno tre anni dopo, il 23 maggio 2004, Festival porta i libri in
tribunale, dopo un'azione legale del gruppo francese Alstom. È
un crac devastante, per molti versi ancora non interamente
spiegato.
Di chiaro c'è soltanto che è
definitivamente chiusa la partita delle responsabilità degli
amministratori, con il pagamento di cinque milioni di euro alle casse
del curatore. Uno dei nomi più noti nel cda di Festival, di
area diessina, era quello di Roberto De Santis. Soprannominato anche
in passato «il banchiere di D'Alema», De Santis è
noto perché attraverso un complesso intreccio societario che
passava per la banca londinese London Court era tra le figure chiave
della società Formula Bingo.
Il
suo nome inizia a comparire sui media dal 1997, quando Massimo
D'Alema e alcuni soci acquistano la Ikarus,
una barca costruita nel 1982 dai cantieri Baltic Yacht: 31
tonnellate, 15 metri di lunghezza. L'imbarcazione era intestata a
due conoscenti del leader diessino: uno di loro era De Santis.
Tra
le sue molte esperienze, De Santis annovera anche quella di membro
del consiglio di amministrazione proprio della Festival. Intervistato
da «Il Secolo XIX» ai tempi del crac, De Santis aveva
escluso ogni intervento della politica per la sua partecipazione al
consiglio di amministrazione di Festival. Aveva spiegato: «Sono
sempre stato molto esterno alla società. Non avevo deleghe.
Avrò partecipato al massimo a tre o quattro consigli di
amministrazione». Un ruolo defilato che, però, consentì
a De Santis di guadagnare 143mila euro in due anni.
Le
trasversalità della Ital Brokers e Lazzarini
Altre
informazioni si ricavano dal libro Capitalismo
di rapina,[4]
scritto da alcuni dei migliori giornalisti di inchiesta
italiani: Paolo Biondani, Mario Gerevini e Vittorio Malagutti. Un
volume che per la prima volta sembra individuare il ruolo di «un
uomo di area diessina» nella scalata Telecom. Un finanziere,
Lazzarini appunto, che è stato socio del raider bresciano
Emilio «Chicco» Gnutti (quello coinvolto nelle indagini
sui «furbetti del quartierino») e che dalla
privatizzazione gestita dal governo D'Alema avrebbe ricavato lauti
incassi. A questo proposito, è bene dirlo subito, Lazzarini ha
inviato un'immediata smentita, ma il suo nome effettivamente
risulta al numero 43 dell'elenco soci di Holinvest, la finanziaria
di Gnutti. Il libro descrive Lazzarini e l'ambiente politico dei Ds
genovesi come possibile snodo di rapporti economici e politici tra
uomini vicini a Massimo D'Alema. Ma sentiamo che cosa ci dicono
Biondani, Gerevini e Malagutti: «Nel novembre 2001, concluso
l'affare Telecom con profitti memorabili, nella cerchia dei
fortunati scalatori va in scena un nuovo copione. Molti bresciani
reinvestono i guadagni proprio nella Holinvest di Gnutti,
sottoscrivendo un aumento di capitale. E così quest'ultima
società diventa una specie di clone della Hopa con cui
condivide decine di azionisti», esordisce il libro. Che poi
punta dritto verso la Liguria.[5]
La
grande scalata a Telecom è stata più volte oggetto
dell'attenzione dei pm milanesi. Ma poi non si è arrivati a
nulla di concreto. Sono passati troppi anni. Tutto sarebbe comunque
destinato alla prescrizione.[6] Ma
non fermiamoci qui. Proviamo allora a collegarci al sito della Ital
Brokers, per cercare di capire chi sia esattamente questo Franco
Lazzarini di cui Burlando è tanto amico.
Eccole allora le
persone che siedono sul ponte di comando della più importante
società italiana di brokeraggio: Fernanda Contri, presidente
onorario, Franco Lazzarini, presidente esecutivo, Giancarlo Gardella,
vicepresidente esecutivo, Andrea Vallini, vicepresidente e
amministratore delegato, Giancarlo Morotti, amministratore delegato,
Fabrizio Moro, consigliere delegato, Filippo Binasco, consigliere
delegato, Sandro Balliano, consigliere, Giuseppe Marzo, consigliere,
Raffaele Bozzano, consigliere. Proviamo adesso a capire chi sono i
compagni di avventura di Lazzarini.
Partiamo da Fernanda Contri. È
un avvocato. È stata la prima donna giudice della Corte
costituzionale. Contri ha sempre militato nell'area socialista
anche all'epoca del terremoto di Tangentopoli. «Non sono mai
stata craxiana», precisa lei. Di sicuro era vicina a Giuliano
Amato, che infatti la volle nella sua compagine di governo.
Ora,
il fatto che Ital Brokers sia stata scelta come broker dei Vigili del
Fuoco mentre Amato è ministro dell'Interno (settembre 2007)
non è certo un illecito penale: la società ha
sicuramente una provata esperienza.
Qualcuno sui siti internet
cittadini recentemente ha fatto notare che proprio Fernanda Contri,
presidente onorario di Ital Brokers che tra i soci annovera tante
persone con interessi in porto, sia stata chiamata a far parte di una
«squadra di garanzia e supporto tecnico» del nuovo
presidente dell'Autorità portuale, Luigi Merlo (ex assessore
ai Trasporti della giunta Burlando, quarantadue anni, e capacità
che nessuno mette in discussione). «È stata varata
un'operazione trasparenza», hanno sancito giornali e
televisioni. «Sono state scelte persone al di sopra di ogni
sospetto dopo la bufera giudiziaria che ha sconvolto il porto.»
Certo, Contri ha un curriculum di tutto rispetto, ma resta il fatto
di quel doppio incarico. «Contri mi ha fatto presente questo
problema», spiega Merlo, «ma io mi fido di lei e sono
sicuro che non ci saranno interferenze.»
Ma
passiamo oltre anche perché nessuno, nella stessa opposizione,
sembra sollevare la benché minima questione su questa vicenda
come pure sul fatto che Ital Brokers abbia svolto consulenza
assicurativa per il Comune di Genova. Chissà, viene forse da
pensare, un certo occhio di simpatia per questa società
potrebbe venire dal fatto che nel cda c'è anche Fabrizio
Moro. Eh sì, il consigliere delegato di Ital Brokers sembra
proprio essere l'ex consigliere regionale di Forza Italia, oggi
figura chiave del partito di Silvio Berlusconi in Liguria. Insomma,
Ital Brokers sembra una società molto trasversale. Lo dimostra
il fatto che tra i consiglieri compaia anche Filippo Binasco, figlio
di quel Bruno Binasco, amministratore delegato delle società
del gruppo Gavio. E qui ci è presa una curiosità e
siamo andati alla Camera di Commercio a chiedere il libro soci della
Ital Brokers. Così abbiamo scoperto che alle spalle di
Lazzarini siedono alcuni dei giocatori più importanti del
tavolo politico-economico ligure. E non solo. Nomi che ricorreranno
ancora nella nostra storia.[7]
Marcellino
da Tortona. L'impero di Gavio
Il
quadro si definisce piano piano. Cominciamo proprio da Gavio (e dal
suo inseparabile braccio destro, Bruno Binasco, appunto). Alla
notizia del suo ingresso in Ital Brokers il mondo imprenditoriale
della città si spella le mani dagli applausi: «Un nome
pesante che decide di sbarcare a Genova, finalmente», dice
qualcuno.
Ma
il curriculum di Gavio, proprietario di seimila chilometri di rete
autostradale nazionale, ma anche di imprese di costruzioni e società
che spaziano dal petrolio ai container, dall'allevamento
all'agricoltura, dalla finanza alla logistica, non è per
tutti così lusinghiero. Marco Travaglio in un suo vecchio
articolo [8] ricostruisce in
dettaglio la sua ascesa, dall'impresa per l'estrazione della
ghiaia a Serravalle Scrivia, nei pressi di Tortona, al salotto di
Mediobanca:
Ad
affacciarsi fuori della Valle Scrivia lo aiuta Pierluigi Romita, il
ministro socialdemocratico che viene dalle sue parti. E poi un altro
big del sole che nasce e dell'asfalto che cresce, il mitico Franco
Nicolazzi. Nel 1982 Gavio sbarca a Genova e si mette in affari con
l'armatore Cameli e l'industriale siderurgico Begis. Poi passa a
Torino, grazie ai suoi amici Carlo Patrucco e Guido Accornero. A
Milano si allea con la Techint di Gianfelice Rocca e Paolo Scaroni e
col gruppo Acqua dei fratelli Pisante (tutti poi coinvolti in
Tangentopoli). Nel 1987 si allarga alla Dc e al Psi e diventa socio
di Salvatore Ligresti nella Torino-Milano. Lì conosce Vito
Bonsignore, potente sottosegretario dc con grossi interessi
autostradali, che gli presenta Andreotti. Il turboministro dei Lavori
Pubblici Gianni Prandini, per gli amici «Prendini», lo
lancia nella giungla d'asfalto dei primi anni '90 per le
Colombiane e dintorni. Appalti da quasi mille miliardi di lire, in
condominio con Ligresti e l'altro re del mattone, Mario Lodigiani.
Soprattutto per la Milano-Serravalle.
Lo
stop, solo provvisorio, arriva con Mani Pulite. Ma finisce senza
troppi danni, anche perché a fare da parafulmine c'è
l'inseparabile amministratore delegato Bruno Binasco, il quale
svolge per Gavio le funzioni che alla Fininvest sono coperte da Paolo
Berlusconi: andare in galera per conto terzi. Nel solo 1992 Binasco
entra ed esce dal carcere sei volte. [...] Riesce a farsi beccare
anche per una mazzetta rossa insieme a Primo Greganti, il pony
express del Pci-Pds. La Cassazione che li condanna per un
finanziamento illecito tramite una tortuosa operazione immobiliare a
Roma, spiega la «convenienza che il Binasco aveva in un buon
rapporto col Pds». E ricorda le parole di Gavio ai pm:
bisognava tenersi buona la Quercia «in previsione del fatto che
in quel momento venivano stanziati i finanziamenti per le opere
pubbliche che il partito era impegnato a sostenere».
Nel
frattempo, Gavio ha ripreso a scalare. [...] Ultimamente ha rilevato
pure l'Impregilo dalla famiglia Romiti, per tornare al primo amore
delle costruzioni grazie al piano berlusconiano Grandi Opere. E ha
subito vinto il mega-appalto per il Ponte sullo Stretto. Montagne di
plusvalenze sfuggite quasi del tutto, e legalmente, al fisco, con
abili passaggi di azioni da una società gaviesca all'altra,
grazie alla legge-omaggio del governo Berlusconi sulle «partecipation
exemption».
L'unica scalata mancata, per il no del sindaco
forzista Gabriele Albertini, è quella della Milano-Serravalle.
Ma il presidente della Provincia, il ds Filippo Penati, preceduto da
una serie di telefonate di Pierluigi Bersani, gli ha garantito una
ricca buonuscita, strapagandogli le azioni. Una plusvalenza di 175
milioni, di poco successiva all'ingresso di Marcellino nelle
scalate di Fiorani all'Antonveneta e di Consorte & furbetti al
seguito alla Bnl. Perché Gavio è fatto così:
trasversale. Nel 2001 finanziò Forza Italia. È amico di
Bruno Tabacci (il più antiberlusconiano dell'Udc) e del
banchiere margherito Fabrizio Palenzona (vicepresidente di Unicredit
e consigliere di Mediobanca), ma non dimentica mai di coprirsi a
sinistra. Qui, oltre a Bersani, vanta ottimi rapporti con l'ex
sottosegretario dalemiano Antonio Bargone. Calce e martello.
Ma
ce n'è anche per Bruno Binasco, parente di Filippo,
consigliere
di
Ital Brokers. Ne scrive sul «Corriere della Sera»9
il giornalista Sergio Rizzo, sì, quello de La
Casta:
Bruno
Binasco e Marcellino Gavio hanno passato insieme una bella fetta di
vita. E non una fetta qualsiasi. [...] Tortonese come Gavio,
[Binasco] è nato il 6 agosto del 1944, esattamente un anno
prima che il bombardiere americano Enola Gay sganciasse l'atomica
su Hiroshima. Nell'agosto del 1992, pochi giorni dopo aver compiuto
48 anni, anche lui veniva colpito da una bomba: quella dell'inchiesta
Mani pulite [...] Come si conveniva al manager di un'impresa che
viveva di appalti pubblici, Binasco aveva rapporti con tutti i
partiti. Anche con la sinistra e il mondo delle cooperative. E ciò
lo rendeva perfetto nel ruolo di parafulmine. Da allora, per quasi
tre lustri, il suo rapporto con le aule giudiziarie è andato
avanti praticamente senza soluzione di continuità. I lunghi
processi per le vecchie vicende di quegli anni, ma anche inchieste
poi finite nel nulla, come l'ultima, proprio sulla
Milano-Serravalle, nella quale oltre a Binasco e Gavio era indagata
anche l'ex presidente della Provincia di Milano Ombretta Colli.
Tutto però senza lasciare alcuna traccia. L'inossidabile
Binasco è
anzi
sempre più potente. Amministratore delegato della Argo
finanziaria, cassaforte del gruppo, colleziona 20 incarichi in
società e consorzi. Addirittura più di quanti ne abbia
un altro potentissimo tortonese. È Fabrizio Palenzona,
presidente dell'Aiscat (l'associazione delle concessionarie
autostradali di cui fa parte anche il gruppo Gavio), consigliere di
Unicredit e di Mediobanca, esponente della Margherita ed ex
presidente della Provincia di Alessandria. Non a caso, pure socio di
Gavio nel consorzio di autotrasportatori Unitra. E colonna del
sistema di relazioni politiche che ruotano intorno alla coppia
Gavio-Binasco. Quanto mai trasversali, come dimostrano i contatti con
l'ex ministro dell'Industria e dei Trasporti, il diessino
Pierluigi Bersani. Dal centrosinistra si passa a Forza Italia, dove
alla Camera il deputato di Alessandria Francesco Stradella,
costruttore, non cessa di perorare la causa delle concessionarie
autostradali. Campo nel quale, al Senato, è forse ancora più
attivo il presidente della Commissione Lavori pubblici Luigi Grillo,
che però è anche molto amico dell'europarlamentare
dell'Udc Vito Bonsignore, diventato ormai anch'egli uno dei
principali concessionari di autostrade in Italia. Quindi anche
concorrente del gruppo Gavio. Ma come poi non ricordare il
viceministro delle Infrastrutture Ugo Martinat, esponente piemontese
di An nonché grande sponsor dell'autostrada Asti-Cuneo? E in
Parlamento c'è persino chi, prima di essere eletto, nel
2001, è stato presidente della società del gruppo
Gavio, Autocamionale della Cisa, della quale Binasco è
consigliere: Bruno Tabacci, deputato dell'Udc e presidente della
commissione Attività produttive della Camera.
Ce
n'è per tutti. Gavio è uno che non fa preferenze,
destra o sinistra, pari sono. E i partiti ricambiano. A questo punto
è facile perdersi. Ma si comincia a intravedere un filo rosso
che incrocia questa galassia di potere con la nostra storia. Basta
digitare i nomi dei protagonisti su Google. Sempre gli stessi
personaggi: si scambiano, si perdono e si ritrovano. Eccoli nelle
società e nelle banche che sono protagoniste della nostra
storia. Eccoli collegati in qualche modo tra loro e alla fine con
alcuni dei progetti di cui ci stiamo occupando.
Prendiamo le
società che partecipano a Ital Brokers. Oppure i nomi dei
consiglieri di amministrazione. Partiamo da una parte o dall'altra,
ma alla fine ci ritroveremo.
Il
ruolo della Carige
Vediamo.
Allora, dicevamo che tra i soci di Lazzarini c'è anche la
Carige, che detiene il 10 per cento delle azioni (la stessa Carige di
cui Gavio è arrivato a detenere il 2 per cento). Niente di
straordinario, si potrebbe dire, perché la Cassa di Risparmio
di Genova e Imperia è la banca della Liguria e non si muove
foglia senza che lei non voglia. Succede qui, e succede anche
altrove. Ma se appena vai un po' sotto la superficie delle cose,
ecco che noti altri particolari. Altrettanto attivo - ma sempre in
veste di «corollario» - il ruolo di Banca Carige nella
partita Bnl, di cui l'istituto genovese ha rilevato l'1,99 per
cento. Proprio questa quota, il 18 luglio 2005, è stata
portata in dote al patto di sindacato promosso dalla Unipol che in
quella data disponeva già del 14,92 per cento di Bnl. Il 18
luglio, inoltre, Carige ha sottoscritto un contratto «put»
con Unipol: il contratto dava la facoltà alla banca genovese
di vendere le azioni all'assicurazione bolognese. Anche questo
contratto (insieme a tutti gli altri «put» siglati quel
giorno) è stato messo sotto il «faro» della
Consob.
Gli intrecci con le scalate estive non si limitano alle
banche. Carige ha avuto (e in certi casi ha ancora) un rapporto
finanziario con gli ormai celebri immobiliaristi. Con Stefano
Ricucci, per esempio. Nell'estate del 2005, quando veniva allo
scoperto il «contropatto» di Bnl guidato da Francesco
Gaetano Caltagirone, Ricucci trovò un appoggio in Banca
Carige, che gli erogò un finanziamento da 150 milioni di euro.
In cambio di quali garanzie? Azioni Bnl.
Ecco, qui ci torna in
mente un altro incrocio. E di nuovo il cerchio degli affari
immobiliari si interseca con altri: quello della costellazione delle
società vicine alla sinistra e quello dei furbetti del
quartierino. Non serve una banca dati sterminata per scoprirlo,
basta, ancora una volta, internet. E davvero bisogna ringraziare il
cielo che esista, perché, in un Paese così poco
trasparente, la rete ci permette di informarci, di capire, di farci
un'idea senza filtri. Bene, partiamo allora da Unipol e dallo
scandalo Bnl. Cerchiamo su Google l'elenco dei pattisti che avevano
siglato l'ormai famoso patto parasociale con l'Unipol di Giovanni
Consorte. C'è Nomura (di cui ha parlato Claudio Gatti, il
giornalista de «Il Sole 24 Ore», a proposito dei bond
della Regione Liguria), la Coop Liguria (1 per cento del capitale
Bnl), c'è Carige, appunto, ma ecco, sconosciuta ai più,
anche la «Talea società di gestione immobiliare Spa, con
sede in Savona» il cui consiglio di amministrazione è
presieduto dal noto avvocato Alessandro Ghibellini. Ma sì,
proprio lui, la palombella rossa ligure, uomo da sempre vicino alla
sinistra, legale di Cgil e consulente del Comune di Genova ma
soprattutto noto per essere stato un campione mondiale di pallanuoto.
Ghibellini da gennaio è anche uno dei nuovi 31 indagati per la
scalata occulta alla Bnl capeggiata da Unipol. È in buona
compagnia, visto che c'è anche il numero uno della finanza
ligure: Giovanni Berneschi, presidente di Carige.
Sorella
Natura
Insomma,
scava scava si scoprono sempre nuovi punti di contatto. Casuali,
forse, perché facendo affari è naturale che si entri in
contatto. Ma andiamo avanti, concludiamo questo viaggio, scorriamo
fino in fondo i nomi che compaiono facendo una visura della Ital
Brokers. Raffaele Bozzano, consigliere della società di
Lazzarini, è stato membro del cda della Fondazione Carige e di
Festival Crociere. Ma non solo: Bozzano è anche membro della
fondazione Sorella Natura. E qui bisogna aprire un'altra parentesi,
prima di tornare alla nostra questione: al cemento e ai nomi che
ruotano intorno alle speculazioni edilizie liguri.
Che cos'è
veramente Sorella Natura? La fondazione si definisce così:
«Fondata, come associazione, nel 1992 in Assisi, con lo scopo
di diffondere una corretta cultura ambientale,
nel
nome di S. Francesco d'Assisi e nella prospettiva dello sviluppo
sostenibile».
Tutto chiaro? Non proprio. La fondazione è
sempre stata al centro di critiche provenienti da una parte del mondo
dell'associazionismo duro e puro, che imputano a Sorella Natura i
troppi legami con il mondo finanziario e in particolare con le
banche. La Rete Lilliput nel 2003 lanciava sul suo sito un attacco
senza troppi giri di parole:
Le
principali banche italiane hanno presentato il progetto «Sorella
Natura», una iniziativa che definiscono di finanza etica. Quasi
tutte le principali banche italiane inizieranno ad offrire prodotti
con un marchio, Eticamente, che consentirà ai risparmiatori di
fare delle offerte a favore della fondazione Sorella Natura
(costituita dalle stesse banche) per finanziare progetti socialmente
utili. In sintesi: le banche continueranno ad utilizzare come meglio
credono i soldi dei risparmiatori (ad esempio finanziando
l'esportazione di armi, come fanno la maggior parte delle banche
che danno vita a questo progetto, oppure opere di devastazione
ambientale...), ma permetteranno ai risparmiatori (bontà
loro), pagando di più i libretti degli assegni, rinunciando a
parte dei loro interessi, pagando commissioni più alte... di
finanziare qualcosa di buono. In pratica l'esatto opposto della
finanza etica. Chi vuole fare donazioni per progetti vari (e magari
decidendoli da solo, non facendoli decidere alle banche) può
farlo già ora. Finanza etica significa investire diversamente
il denaro, cosa che non compare minimamente in questo progetto.
Ma
Lilliput non è la sola a sostenere che, in ultima analisi, la
fondazione di cui fa parte il potente cardinale Giovanni Battista Re
sia anche, se non soprattutto, un centro di potere. Il dubbio sarebbe
avvalorato leggendo i nomi dei soci, a cominciare da una sfilza di
parlamentari, soprattutto del centrodestra, come Sandro Bondi, Gianni
Alemanno - neosindaco di Roma - e Angelo Sanza. Tra i soci
benemeriti spiccano direttori di giornali come Ferruccio de Bortoli o
Paolo Mieli, ma anche il leader del Pd Walter Veltroni e l'ex
numero uno di Legambiente Ermete Realacci. Personaggi di tutti gli
orientamenti, spesso, probabilmente richiamati dallo scopo di
tutelare la natura o da nomi di assoluto valore come il missionario
Piero Gheddo, presidente del Pime. No, qui non si vuole gettare fango
su tutto. Ma bisogna pur capire quale fosse il ruolo di Antonio Fazio
(tuttora citato tra i soci benemeriti) e di Gianpiero Fiorani
(«provvidenzialmente» cancellato dalla lista). Bisogna
chiedersi se qualcuno dei soci non vedesse in questa fondazione
un'occasione per crearsi una rete di contatti importante. Anche a
Genova, magari, dove nell'ottobre del 2005 ecco cosa scriveva su
«la Repubblica» Massimo Calandri:
A
due mesi dalla sua costituzione, sta per sbarcare a Genova la
Confimmobiliare di Stefano Ricucci e Sergio Billé. La nuova
associazione, che opera nel settore dei servizi e nella gestione dei
patrimoni immobiliari, potrebbe essere ufficialmente presentata nel
capoluogo ligure alla fine del mese prossimo. A farle da sponda sono
due importanti partner genovesi: Carige, tra i soci fondatori insieme
ad altri quattro istituti di credito, e la Fondazione Sorella Natura
[...] che nel capoluogo ligure ha sede presso il Sorriso Francescano,
e ha tra i componenti del consiglio di amministrazione Cesare
Castelbarco Albani (già presidente, con il centro destra,
della Filse, la finanziaria della Regione), Marco Desiderato (anche
lui ex presidente della Filse, ora della Millennium Sim), Ugo Salerno
(amministratore delegato del Rina, ente socio di Sorella Natura così
come la Banca Popolare Italiana).
Ci siamo allontanati
troppo dalla nostra questione? Non crediamo. Non intendiamo
assolutamente affermare che Burlando o Lazzarini, da cui siamo
partiti, siano in qualche modo legati a Fiorani, né che
abbiano commesso dei reati. Peraltro, non spetta certo a noi
stabilirlo. Quello che emerge è che tirando un filo si solleva
una ragnatela inestricabile, una rete di interessi e di potere che
tocca tutti i partiti politici e che, anzi, alla fine è del
tutto indifferente a ogni tipo di appartenenza o di ispirazione
ideale. Un intreccio in cui c'è chi punta sulla finanza e
chi sul mattone. Spesso sono gli stessi personaggi a giocare di
rettamente o indirettamente su più tavoli. Ma per capire che
cosa ne sarà della Liguria, come di tutto il nostro Paese, è
indispensabile conoscere questo sottobosco. La storia che, passo dopo
passo, porta fino alle case che vengono costruite sulle nostre
spiagge parte da lontano.
Note
1
Meno noto al grande
pubblico il nome di Maurizio Gattiglia, ma i bene informati sanno che
è uno dei grandi imprenditori liguri, perché suo padre
partendo da una drogheria arrivò a fondare la Sogegross,
colosso della distribuzione alimentare (vi dicono niente i marchi
Basko, Ekom e Doro Centry?) che conta oltre duemila dipendenti e un
fatturato di 522 milioni di euro nel 2005. Maurizio è oggi
l'amministratore delegato. Nel 2005 lanciò il progetto
«Fresco di più», per promuovere la vendita di
pesce fresco. L'iniziativa, come riferiscono le pubblicazioni di
categoria, è stata interamente finanziata dalla Regione
Liguria ed è stata realizzata insieme con Basko e le
associazioni liguri dei pescatori.
2
Cfr. «Economia
immobiliare», gennaio-giugno 2006.
3
Lionello Parodi allarga le
braccia e spiega: «Sapevo che questa storia sarebbe venuta
fuori. Del resto chi ha un ruolo pubblico deve aspettarsi di veder
passare la propria vita ai raggi X. Ed è anche giusto».
Ma lei aveva davvero i titoli per vincere il concorso? «Sì.
Ho cinquantacinque anni, sono un medico esperto, ho titoli e
pubblicazioni. Chiedete tra i miei concittadini.» Va bene, ma
se non fosse stato sindaco di Albisola e vicino a Burlando? «Penso
che la promozione sarebbe potuta arrivare lo stesso. Ne sono
convinto.» Marco Bertolotto tenta, invece, una spiegazione più
politica: «Insomma... diciamo sempre che gli amministratori
devono essere presi dalla società civile... bene, io ho deciso
di continuare a fare il medico mentre sono anche presidente della
Provincia. Se mi hanno promosso è soltanto per meriti
professionali».
4
P. Biondani, M. Gerevini,
V. Malagutti, Capitalismo
di rapina,
Chiarelettere, Milano 2007.
5
Attenzione, però,
c'è anche una sorpresa. Una quota di Holinvest dell'1 per
cento circa risulta intestata a un personaggio nuovo: Franco
Lazzarini, classe 1950. Il signor Lazzarini si occupa di
assicurazioni e non è certo un finanziere famoso. Non è
nemmeno di Brescia o di Mantova come tutti i soci di Gnutti. È
come se fosse un infiltrato. [...] Come arriva Lazzarini fino a
Gnutti? Va ricordato che Holinvest non è una società
quotata in Borsa. Chi vuole comprarne le azioni deve trattare con un
socio disposto a cederle. E nell'ottobre del 2001 l'unico
azionista di Holinvest è Gnutti. Oppure, e sembra l'ipotesi
più probabile, la teoria del santo in paradiso vale anche per
Lazzarini: l'uomo d'affari genovese ha rivenduto un pacchetto
Olivetti investendo parte del ricavato in Holinvest, proprio come
hanno fatto decine di investitori bresciani, quelli del giro di Hopa.
Questa singolare catena di coincidenze autorizza qualche sospetto. Da
una parte un noto professionista di area diessina. Dall'altra la
finanziaria che servì a remunerare gli amici di Gnutti. E le
sorprese non sono finite. Perché tra i soci di Holinvest,
confuso tra decine di ricchi imprenditori delle valli bresciane,
compare con una minuscola partecipazione (meno dello 0,1 per cento)
anche un altro genovese, tale Giancarlo Gardella, classe 1940.
Lazzarini lo conosce bene: Gardella è il suo socio di
minoranza nel gruppo Ital Brokers. Il gran viavai intorno a Holinvest
si esaurisce in poche settimane. Nel dicembre 2001 Hopa ne riprende
il controllo totalitario comprando tutte le azioni in mano ai soci
minori a due euro l'una. Si chiude il cerchio: gli amici di Gnutti
trasformano i loro titoli in denaro contante.
6
Lazzarini, attraverso il
suo legale, Stefano Savi, smentisce parlando di «inesattezze e
allusioni che danno un'immagine distorta e lesiva della reputazione
professionale ». Sostiene che raccontando «di operazioni
di Borsa svoltesi a titolo esclusivamente personale, in totale
legittimità e trasparenza, con risultati peraltro pesantemente
negativi dal punto di vista economico, si insinuano nel lettore
sensazioni di collusione con il mondo politico e finanziario senza
che tali insinuazioni siano suffragate da fatti e circostanze
concreti [gli autori però si erano basati sul libro soci della
Hopa, Nda].
Si richiamano - sostiene infine Lazzarini - amicizie personali
notorie e da sempre alla luce del sole» in modo «altamente
lesivo ed estraneo al diritto di informazione [...] all'unico fine
di rappresentare al lettore inesistenti intrecci per screditare
persone e società che operano legittimamente».
7
Del resto il quadro emerge
chiaramente anche da notizie riportate da «la Repubblica»
e «Il Sole 24 Ore» nel 2005:
Marcellino Gavio si
rafforza nelle assicurazioni. L'imprenditore di Tortona ha
acquistato da una finanziaria svizzera il 9,5 per cento di Ital
Brokers, quarto gruppo di brokeraggio assicurativo in Italia. [...]
Per Gavio si tratta di un'operazione certamente strategica
considerati i numeri di Ital Brokers: la compagnia può infatti
contare su 693 milioni di premi intermediati e su 55 milioni di
commissioni a livello di gruppo.
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con il capitolo su Claudio Scajola, la rassegna, video e info