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La mappatura della Liguria
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27.03.2006 - DemocraziaLegalità ()
«L´ipotesi della matrice politica nell’omicidio Fortugno è più che attendibile (…) l’omicidio fu deciso più per conservare che per cambiare qualcosa» (dichiarazioni del Procuratore Antimafia Piero Grasso dopo l’arresto degli assassini di Fortugno)
«Mio marito mi disse che se fosse stato eletto a discapito di altri, la sua vita sarebbe stata in pericolo». (dichiarazione della vedova di Fortugno ai magistrati)
Pm: «Ma perché lo hanno ammazzato?». Risposta: omissis (dai verbali resi pubblici dell’interrogatorio di Bruno Piccolo, collaboratore di giustizia)
Il clima politico
di Marco Ottanelli
Che l’assassinio di Francesco Fortugno non fosse un assassinio “normale”, in una terra dove purtroppo si uccide spesso, era evidente, visto il suo ruolo nel Consiglio Regionale calabrese. E che non fosse neanche “solo” un omicidio di ‘ndrangheta, era parso chiaro a molti osservatori. La ‘ndrangheta non compie infatti delitti eccellenti, a differenza di Cosa Nostra, se non in rarissimi e specialissimi casi. Se ne ricordano solo tre: quello di Ligato, quello di Scopelliti, e, appunto, quello di Fortugno. Ma Ligato, patron delle ferrovie, controllava miliardi; Scopelliti fu colpito su richiesta e per conto della mafia siciliana; e Fortugno, dunque, perché?
Le dichiarazioni degli investigatori, per quanto prudenti, a volte ambigue (chi ha “fatto pressioni per usare i dettagli delle indagini a fini elettorali”?) non lasciano alcun dubbio: l’omicidio del vicepresidente del consiglio regionale ha i suoi mandanti in alto, più in alto della cosca dei Cordì di Locri, e matura nel “clima politico” della regione. Per conservare, più che per cambiare.
Senza ovviamente voler collegare nomi fatti e circostanze con l’episodio criminale in questione, proviamo, tentiamo, cerchiamo di ricostruire – almeno in parte- l’ambiente nel quale il dott. Fortugno si muoveva e lavorava, proviamo ad analizzare e capire un po’ meglio proprio quel clima politico calabrese che sarebbe stato ciò che ha indirettamente determinato la tragedia.
Storia di una Margherita
Grazie all’incredibile exploit del centrosinistra nelle regionali del 2005, il partito di Fortugno ha eletto nove consiglieri (compreso il Presidente della Regione, Agazio Loiero). Di sana e robusta costituzione democristiana, come lo stesso Loiero, le cui vicende personali sono riassunte in calce a questo articolo, la compagine margheritina calabrese è composta in parte di ex : ex udeur, ex ccd…anche ex socialisti. E adesso, nel fermento elettorale, si è ulteriormente spaccata, dato che Loiero si è “allontanato” da Rutelli e Marini per costituire una sua lista personale, puntando al Parlamento assieme a qualcuno dei suoi consiglieri. Una struttura di partito, alla prova dei fatti, poco coesa e debolissima, capace di riunirsi e compattarsi solo per una stagione, stagione finita con la morte di Fortugno. La cui vedova, dott.sa Laganà, si candida anch’essa, ma con la Lista Unitaria Ds-Margherita. Un segno?
È degno di nota il fatto che dopo l’omicidio, colui che è subentrato a Fortugno in consiglio regionale è Domenico Crea. Il quale è approdato alla Margherita da poco, dopo essere stato assessore al turismo con la passata giunta di centrodestra. Si candidò in tempo per cavalcare l’onda lunga ulivista, lunga sì, ma non abbastanza, risultando il primo dei non eletti. Ora, un destino crudele gli ha aperto le porte del Palazzo a Catanzaro. Secondo le informazioni pubblicate dal quotidiano La Repubblica , in una corposa inchiesta dei giornalisti Attilio Bolzoni e Francesco Viviano, sospettato di essere “uno dei mandanti” dell’agguato è Alessandro Marcianò, dirigente della stessa Asl nella quale lavoravano sia Fortugno che la moglie, signora Laganà. A parte le dichiarazioni del pentito, nulla lega Marcianò ai fatti (lui, infatti, nega), ma, sempre per rimanere in quel clima che stiamo esaminando, e per sua stessa orgogliosa ammissione, veniamo a sapere che Marcianò è “compare d’anello” del boss di Locri Cosimo Cordì; che nel 2005 ha fatto campagna elettorale proprio per Crea, mentre nel 2000 l’aveva fatta per Francesco Fortugno (e precedentemente per AN); che suo figlio Giuseppe è in carcere per traffico di droga e di armi, e che è amico di Salvatore Ritorto, l’esecutore materiale del delitto Fortugno. E il figlio di Marcianò, prima di essere arrestato, “aveva trovato una sistemazione come spicciafaccende nella segreteria politica di un consigliere regionale della Margherita.”
Lo scenario, il clima, nel partito, qualunque sia la verità, non è comunque sereno.
Scontri e subentri
Dunque a Fortugno è subentrato Crea, ex casa delle libertà. Ad Agazio Loiero, che era senatore, e che nel maggio 2005 ha lasciato lo scranno per la presidenza della Calabria, è invece succeduto in parlamento un altro ex DC, Nicodemo Oliverio, il 9 giugno 2005, eletto nelle suppletive. In quella tornata elettorale, si presentò anche Saverio Zavettieri, leader del Nuovo Psi calabrese. La sua storia è interessante, perché è sintomatica, emblematica della politica italiana degli anni 2000. Esponente di spicco del Nuovo PSI di Bobo Craxi e Gianni de Michelis, ex deputato negli anni ’80, partecipa come assessore (pur non essendo eletto) a pubblica istruzione e turismo della giunta di Chiaravallotti (centrodestra). La sua gestione non deve essere stata una gran cosa, se è vero quel che dice oggi su di essa un candidato della lista Loiero, il consigliere della Margherita, Pirillo: “Bilanci in passivo, perdite di esercizio, richiami della Corte dei conti”. In ogni caso, Zavettieri è un uomo potente, amico di Craxi e grande manovratore del partito nella sua regione e oltre. Il peso dei socialisti locali, eredi del grande Mancini, è notevole anche a livello nazionale. E sotto l’impulso di Zavettieri, cresce: dal 2,7% delle elezioni del 2000, fino al 5,4% delle regionali del maggio 2005 (sempre come alleati del Polo). Questo impulso, e la generale vittoria dell’Ulivo in tutta Italia, spingono Bobo Craxi e Zavettieri ad una mossa esplorativa: presentarsi autonomamente alle suppletive di un mese più tardi, per vedere sulla gente l’effetto che fa. Ed infatti, il 9 giugno 2005, gli elettori del collegio lasciato libero da Loiero, trovano tre nomi e tre simboli: Oliviero per l’Ulivo, Calzone per la Casa delle Libertà e Zavettieri per il Nuovo Partito Socialista. Ed è un successo: vince la sinistra, ma il NPSI si becca la bellezza del 15%, superando addirittura gli ex alleati della destra riuniti di mezzo punto percentuale. A questo punto, con questi numeri, i socialisti diventano appetenti, e appetibili. E, come ben sappiamo, Fassino, Rutelli e Prodi fiutano l’affare. Zavettieri , che era sempre stato insofferente all’interno del Polo, diventa uno degli alfieri del ritorno a sinistra. E la “mozione 1” che, al congresso del Nuovo PSI dell’ottobre 2005, determina il passaggio sotto le ali dell’Unione prodiana e la contemporanea scissione di De Michelis, Moroni e Caldoro (che rimangono con Forza Italia), è firmata proprio Craxi-Zavettieri. In questa veste, di ambasciatore per il centrosinistra, diventa punto di riferimento per l’intero sud e per la trattativa politica a Roma. La trattativa va in porto trionfalmente, con tanto di, e la candidatura (voltando la gabbana) per il parlamento di Bobo Craxi in Lombardia e di Saverio Zavettieri in Calabria. A questo punto, in Calabria, i conti si fanno anche con l’oste, la lista “ I Socialisti”, che come tutti i parvenu, fa più chiasso degli altri. Zavettieri infatti critica duramente Loiero per aver abbandonato la Margherita , e si fa paladino, chissà quanto richiesto, della unione dell’Unione (scusate il gioco di parole).
Il clima arroventato della politica locale è però inscindibile dalle vicende personali. Zavetteri, che è stato quindi determinante a livello nazionale (con il suo peso e significato in ambito regionale) per l’assunzione dei craxisti nella alleanza di centrosinistra, è anche colui che, nel febbraio 2004, fu oggetto di un attentato a Bova Marina, assieme al fratello Domenico, sindaco di quella località. Spararono contro le finestre della loro abitazione. Ne risultò lievemente ferito. E apparentemente non scoraggiato né impaurito. I motivi del gesto sono rimasti sconosciuti. Come sono rimasti sconosciuti i motivi dell’omicidio, nel 1992, di un suo cugino, anch’egli socialista. E come rimane avvolta nel mistero la vicenda del 1988, quando a Ferruzzano (RC), a conclusione di un vertice politico al quale avevano partecipato alcuni esponenti socialisti, tra cui lo stesso Zavettieri, e alcuni uomini della famiglia Cordì di Locri, il padrone di casa, l’imprenditore Giuseppe Galluccio, fu assassinato da alcuni killers praticamente davanti agli occhi dei suoi ospiti.
Se tutto questo, con la politica, non c’entra nulla, mantiene però pesante il clima nel rinnovato connubio PSI-DC in Calabria.
Gli sconfitti
Nello spazio di pochissimi mesi (dal maggio 2004, al giugno 2005) il centrodestra calabrese si è visto sottrarre, dunque, uomini, gruppi, partiti e migliaia di voti, passati agli avversari. Perso il controllo delle istituzioni locali, la Casa delle Libertà si appresta a perdere il controllo anche della rappresentanza regionale nel parlamento nazionale. Nel 2001, aveva eletto 6 senatori e 17 deputati. Non un trionfo, ma una buona maggioranza. Ora, tutto è in bilico. E il clima tra i partiti della coalizione di destra non appare buono. Per esempio, Saverio Zavettieri, riguardo l’attentato compiuto nei suoi confronti nel febbraio 2004, in un’intervista ad un periodico, aveva sostenuto che l’atto avrebbe avuto una “matrice politica maturata all’interno della Casa delle Libertà” (della quale lui faceva ancora – per poco- parte), ed in particolare in ambienti della provincia di Reggio Calabria della coalizione. Sulla vicenda l’Italia dei Valori presentò anche un’interrogazione ai Ministri dell’Interno e della Giustizia. Poi, l’ex Presidente della Regione, ed attuale vicepresidente dell'Authority per la privacy Chiaravallotti, di Forza Italia, è finito sotto inchiesta per appalti truccati, truffa ai danni dello Stato ed altri reati di stampo finanziario. Assieme a lui, anche un ex assessore di AN, Basile.
La delegazione di Alleanza Nazionale nel Consiglio regionale, composta da quattro persone, vede ben tre indagati: il capogruppo ed ex assessore Alberto Sarra (anche lui un subentrato, a Scopelliti, divenuto sindaco di Reggio Calabria, e fatto oggetto di un paio di intimidazioni criminali) nel fatidico 2004 è stato inquisito dalla DDA assieme ad altri uomini del suo partito per una complessa vicenda di pressioni e depistaggi nei confronti della magistratura; Giovanni Dima è stato indagato per truffa nella gestione dei finanziamenti dell' Unione europea; così come fu indagato Pasquale Senatore, quando era sindaco di Crotone.
Il quale era prima di Forza Italia, ma evidentemente doveva portare dei rancori, visto che aveva fatto ricorso conto l’elezione di due suoi colleghi di schieramento, Pino Gentile, di Forza Italia, Antonio Pizzini, di An. Ricorso bocciato dal TAR, e scambio di partito tra Pizzini e Senatore. E qualche travaso c’è stato pure con L’UDC, che in consiglio ha ben sei rappresentanti. Un clima teso,nel Polo, a quanto pare, ma flessibile. E la flessibilità è indubbiamente la migliore delle qualità, in attesa delle elezioni del 2006.
Per concludere
È in questo clima di cambiamenti, giravolte, rotture, spaccature, piccola e grande illegalità, attentati e potentati che, secondo quanto dichiarato da Grasso e dagli altri investigatori, maturò la “matrice politica” dell’omicidio di Francesco Fortugno. Niente e nessuno, lo ripetiamo, è ricollegabile con quell’assassinio, ma certamente la vittima, Fortungno, appunto, in quel clima agiva, aveva contatti e contrasti, aveva amici e rivali. La Calabria soffre da decenni una pesantissima situazione di emergenza criminale, con le cosche Morabito, Cordì, Macrì e altre ancora che, in una rete fatta di complicità e parentele, hanno portato la ‘ndrangheta ad essere la mafia economicamente più potente del mondo. Ripetiamo: del mondo.
Ed è in questo clima che stiamo per assistere ad un fuggi-fuggi generale. Infatti, ben venti consiglieri regionali su cinquanta, oltre allo stesso Presidente, si sono candidati alle prossime elezioni del 9 aprile per Camera e Senato. Data la incompatibilità tra i ruoli, lasceranno tutti (se eletti) Catanzaro per trasferirsi a Roma. O perlomeno, ne hanno tutte le intenzioni. Questo significa che, se si verificasse questo caso, l’attuale Consiglio non esisterà più, e i calabresi saranno chiamati, dopo appena un anno, nuovamente alle urne. Se invece il consiglio non sarà sciolto, le elezioni nazionali saranno un ottimo test da usare per misurare gli equilibri interni. E così, tutto appare provvisorio, perché è tutto in gioco, ancora una volta. Un’altra corsa, un altro giro, un'altra ridistribuzione di seggi, assessorati, incarichi. Se il clima è questo rimane da domandarsi chi, quale partito, quale coalizione, quale personalità lavori veramente per il bene ed il futuro della Calabria.
Agazio Loiero, passato a suo tempo dall’ Udeur alla Margherita, ora si presenta con una sua lista indipendente alle elezioni del 9 aprile 2006. Presidente della Regione Calabria. Ex senatore, è stato ministro degli Affari regionali del secondo governo Amato; già sottosegretario e poi ministro nel primo e nel secondo governo D'Alema.
Sotto processo per due anni presso l'ottava sezione del Tribunale di Roma per abuso d'ufficio per la seguente vicenda:
Negli anni '90, quando era nella DC calabrese, e poi in Parlamento, ottenne dal Servizio Segreto Civile due "segretarie in appalto", Anna Maria Santaniello e Anna Maria Ferrante, che però utilizzava (spesate e stipendiate, ovviamente, dallo stesso Sisde) per battere a macchina e classificare il suo enorme schedario di richieste di raccomandazione. Le stesse segretarie hanno raccontato la vicenda con profusione di particolari. In qualità di ministro (prima dei Beni Culturali, poi degli Affari Regionali), Loiero riuscì a rimandare le udienze decine di volte, adducendo impedimenti di servizio: un antesignano del "metodo Previti".
Il 20 luglio 2000, nell'udienza che doveva essere dedicata alla requisitoria del pm Bruno, ci fu l'ennesimo rinvio di ben quattro mesi. Ma, nel frattempo, nel settembre del 2000, giunse la salvifica e tanto attesa prescrizione. (tratto dal libro: “Berlusconia: ultimo atto”, di G.Serra, M. Ottanelli, M. Sedda, D. De Jong)
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Ci sono ancora alcune cose
da sistemare e lo faremo
nei prossimi giorni.
Ma intanto si riparte!
Andiamo avanti.
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