Una Nave Rosso Veleno
Un cargo arenato. Due siti sospetti. Un via vai di faccendieri e agenti segreti. Un'inchiesta archiviata e poi riaperta. E il mistero della Rosso finita su una spiaggia calabrese nel 1990. E di altri Naufragi
di Riccardo Bocca
(...) È il 25 maggio del 1995, e in Calabria è in corso da circa un anno un'indagine delicata quanto travagliata. Un lavoro investigativo con al centro l'affondamento di una serie di navi avvenuto nei mari Tirreno e Jonio, ma che al suo interno racchiude molteplici altre ragioni di allarme. Il sospetto degli inquirenti è che a bordo di queste navi ci fossero rifiuti tossici e radioattivi, e che attorno a questa vicenda, legata a nazioni europee e non, si sia mossa un'impressionante rete di faccendieri, trafficanti d'armi, agenti dei servizi segreti, uomini di governo e mafiosi. Tutti connessi da affari che in alcuni passaggi s'incrociano con la Somalia e gli eventi che il 20 marzo 1994 sono costati la vita alla giornalista del Tg3 llaria Alpi e all'operatore Miran Hrovatin...
(...) Poi, malgrado le molte certezze acquisite, l'intera questione è stata archiviata dal giudice delle indagini preliminari, e a quel punto le decine di migliaia di pagine sono passate per un errore burocratico alla Procura di Lamezia Terme, presso la quali sono rimaste circa tre anni. Ora La partita è nelle mani della Procura di Paola, dove una serie di nuovi e clamorosi indizi ha convinto il procuratore capo, Luciano d'Emmauuele, ad aprire l'ennesimo fascicolo, incentrato per competenza territoriale sorattutto su un caso: quello della motonave Rosso della compagnia Ignazio Messina, arenatasi dopo un principio di affondamento il 14 dicembre 1990sulla spiaggia di Formiciche nel comune di Amantea, in provincia di Cosenza. Da qui sono partiti il sostituto procuratore Francesco Greco e la sua squadra per dimostrare il dolo nel tentativo di affondamento e l'occultamento dei rifiuti tossici o radioattivi, reato che in caso di fallimento rischia di cadere in prescrizione.
(...) Tutto incomincia alle ore 7.55 del 14 dicembre 1990, quando il comandante Luigi Giovanni Pestarino della motonave Rosso lancia il suo mayday. In quel momento la nave si trova al largo della costa di Falerna località a 15 chilometri da Amantea, in provincia dì Catanzaro. Alle spalle ha un viaggio nel Mediterraneo: è salpata dal porto di La Spezia il 4 dicembre facendo prima scalo a Napoli e poi a Malta, da dove è ripartita il giorno 13. "Verso le 7 del mattino, racconta Pestarino durante un interrogatorio, sento un colpo proveniente dallo scafo sul lato sinistro, mi precipito sul ponte, ho mandato subito il marinaio a controllare re la stiva e il garage e successivamente ho inviato anche il primo ufficiale di coperta. In quel momento, dice il comandante, è scattato l'allarme per la presenza di acqua nella nave, e "il primo ufficiale ed il marinaio, tornati sul ponte mi informano di aver riscontrato l'acqua in stiva, presumibilmente dovuta a una falla ma non visiva". La nave intanto continua a galleggiare ma sbanda, prima poco e poi sempre di più, finché il timone non risponde e a motori fermi non resta che attendere i soccorsi, sparando segnali luminosi e tenendosi in contatto con la Capitaneria. Alle 10 e un quarto il capitano e gli altri 15 membri dell'equipaggio (più Domenico De Gioia, uomo della Messina, presente ma non registrato a bordo) vengono recuperati da due elicotteri che li portano all'aeroporto di Lamezia Terme, da dove vengono trasferiti all'ospedale civile. Nel frattempo anche la nave si è mossa. Invece di affondare, come tutti pensavano, ha proseguito la sua incerta navigazione fino ad arenarsi sulla spiaggia di Formiciche. E qui si trova subito al centro di movimenti e decisioni singolari.
(...) Il primo, scrive la guardia di Finanza, è che nel 1997 il comandante Pestarino ha di nuovo sostenuto che una falla era effettivamente presente in un locale della nave». E il secondo, si legge nel documento, che questo particolare (determinante in quanto indizio di un naufragio involontario) viene smentito da Nunziante Cannavale, titolare della ditta che si occupò della demolizione della Rosso, il quale ha dichiarato; "Non siamo stati in grado di stabilire da dove poteva entrare l'acqua, e questa domanda ce la siamo posta anche più volte senza riuscire a darci una risposta". Una versione in sintonia con quella del sommozzatore incaricato dal Registro Navale Italiano di fare un'ispezione alla Rosso, il quale nega qualsiasi falla. E la riprova viene oggi da una videocassetta amatoriale, realizzata a Formiciche nei giorni dopo lo spianamento e acquisita agli atti dalla Procura di Paola. Il filmato, visionato da "L'espresso", mostra che le fiancate della motonave al momento dello spiaggiamento erano integre, e che quindi la falla ipotizzata non c'era. E’ con tali prove che oggi si ritiene possibile sostenere l’accusa di affondamento doloso.
E proprio in questo senso è importante la dichiarazione della Guardia di Finanza, secondo cui in considerazione della totale assenza di falle o vie d'acqua, l'unica spiegazione plausibile per l'ingresso di acqua all'interno della nave è l'accidentale o dolosa apertura della tubatura antincendio che corre lungo tutta la lunghezza deìla nave.
(...) Di sicuro c'è solo che alle 2 del pomeriggio del 14 dicembre 1990 la Rosso si arena a Formiciche, sollevando grande curiosità tra gli abitanti della zona. Una curiosità mista preoccupazione, perché i precedenti della Rosso, quando ancora si chiamava Jolly Rosso, erano celebri e cupi. Nel 1988 la motonave era stata noleggiata dal nostro governo per andare a recuperare in Libano 9 mila 532 fusti di rifiuti tossici nocivi, esportati illegalmente da aziende italiane, e tornando in patria si era conquistata il nomignolo di "nave dei veleni", restando poi in disarmo nel porto di La Spezia dal 18 gennaio dell'89 al 7 dicembre del ‘90. Il timore istintivo era dunque che anche stavolta il carico della nave potesse essere pericooso, e che inquinasse la costa. Un' ipotesi allora non supportata da prove, ma che oggi gli inquirenti considerano plausibile. Non a caso nei giorni successivi allo spiaggiamento, attorno e a bordo della Rosso si scatena un impressionante traffico. Alle 5 di mattina del 15 i carabinieri già ispezionano la motonave con i militari della Capitaneria di porto di Vibo Valentia. Lo stesso giorno accorrono i vigili del fuoco e poi salgono a bordo i «rappresentanti della società armatrice Messina. Un'ulteriore presenza è quella della Guardia di Finanza. E a tutti questi interventi si aggiungono gli agenti dei servizi segreti» di cui parla a verbale Giuseppe Bellantone, comandante in seconda della Capitaneria di Vibo Valentia. Alla fine, malgrado tante attenzioni, nessuna inchiesta formale viene aperta dal ministero della Marina mercantile, mentre i sospetti sul carico della nave anziché svanire aumentano.
(...) L'altro lavoro che qualcuno ha svolto prima della demolizione della Rosso (avvenuta malgrado la nave avesse solo 22 anni di vita) è stato quello di aprire uno squarcio enorme nella murata sinistra della stiva, «Detto squarcio», riferisce ai Carabinieri il Cannavale, non era assolutamente visibile da terra, e a suo dire si era potuto verificare solo dopo che la nave si era arenata. E chiaro, dicono i Carabinieri, che tale apertura è servita "per fare uscire dalla stiva qualcosa di importante e voluminoso, e con assoluta certezza si può dire che la "manomissione" è stata fatta con professionalità e mezzi in possesso delle ditte intervenute prima della demolizione». Circostanza aggravata dal fatto che sul fondale marino vengono rinvenuti un camion, un muletto da 40 tonnellate e tre container, malgrado "non ci si spieghi come abbiano fatto a spostarsi da soli verso lo squarcio e a cadere in mare, considerato che la nave insabbiata non era soggetta a movimenti né longitudinali né traversali" scrive la Guardia di Finanza. Inoltre, si legge, "Corre l'obbligo di segnalare che nel rapporto riassuntivo della Capitaneria di Porto di Vibo i container vuoti stivati a prua del garage vengono quantificati in 25, mentre quelli recuperati sono stati 17 vuoti dalla prua del garage e tre nel fondo del mare in corrispondenza dello squarcio . Qual era dunque la reale entità del carico? E che fine hanno fatto i cinque container mancanti all'appello?
(...) Nei giorni dopo lo spiaggiamemo della Rosso, però, va sottolineato un altro fatto incredibile, che modifica la prospettiva degli eventi e li collega a nomi e scenari di livello internazionale. Protagonista è ancora una volta Bellantone, il comandante in seconda della Capitaneria di Vibo, il quale sulla plancia della motonave rinviene strano materiale. Si tratta di una serie di documenti che, dice lui stesso, «richiamavano la natura della radioattività» ed erano introdotti dalla sigla O.d.m., ossia Oceanic Disposal Management Inc., società creala da un certo Giorgio Cornerio, nato a Busto Arsizio (Varese) nel 1945. Tra queste carte, ha spiegato il procuratore capo Scuderi, c'era pure una mappa marittima con evidenziati una serie di siti.
(...) Nel '95, durante una perquisizione nella villa dello stesso Comerio a Garlasco (Pavia), sede in quel momento di un club di Forza Italia, viene trovata la riproduzione del materiale scoperto dal Bellantone sulla Rosso. Mappa compresa, che sulla copia ereditata dei magistrati di Paola riporta i nomi di una lunga serie di navi affondate nel Mediterraneo.
(...) Lo stesso Comerio viene indicato il 25 ottobre 2000 dalla Commissione parlamentare come «faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia». Un elemento che si aggiunge all'esito della perquisizione nella villa di Garlasco, dove oltre ai citati documenti dell‘ O.d.m. viene rinvenuta l'agenda di Comerio, sulla quale il 21 settembre 1987 c'è scritto in inglese: «La nave è affondata». Un chiaro riferimento alla maltese Rigel, che proprio quel giorno fece naufragio al largo di Capo Spartivento e che secondo Scuderi non solo si sospetta trasportasse rifiuti radioattivi, ma «è implicata in una vicenda truffaldina ai danni della società di assicurazione». Anche la Rosso al momento dello spiaggiamento era assicurata: dalla S.i.a.t, per un valore di 2 miliardi 500 mila lire. E anche la società Ignazio Messina, armatrice della motonave, dopo "l'incidente" ha incassato la polizza.
(...) D'altro canto, che i vertici della Ignazio Messina e Comerio si conoscessero lo dimostra la trattativa che secondo la Guardia di Finanza ci fu nel giugno 1988 tra la società Navimar, rappresentante della Comerio Industry of Malta, e la Ignazio Messina per l'acquisto della Jolly Rosso: la stessa motonave che sarebbe poi divenuta Rosso e si sarebbe spiaggiata coi documenti dell' O.d.m. a bordo. Comerio, scrivono i finanzieri, voleva acquistare la nave per trasformarla in una sorta di officina e la Ignazio Messina confermava di voler la vendere per 1 miliardo 50 milioni di lire, comunicando però successivamente che rinunciava per scadenza dei termini.
(...) Per questo oggi è cruciale il lavoro del sostituto procurature di Paola, Francesco Greco. A distanza di anni qualcuno ha parlato, e ripensando allo spiaggiamento della Rosso ha riferito episodi, definiti dai Carabinieri, estremamenie importanti. Un testimone oculare, ad esempio, ha detto che "dopo circa due mesi dall'avveduto spiaggiamento, iniziarono i conferimenti di rifiuti provenienti dalla motonave Rosso presso la discarica in località Grassuilo (nel comune di Amantea, provincia di Cosenza). Tali conferimenti avvenivano di giorno, e ogni automezzo veniva scortati dalla Guardia di Finanza o dai vigili urbani. Negli stessi giorni (il testimone) notò effettuare scarichi presso la discarica che avvenivano di notte e senza scorta da parte degli organi di polizia. Tale materiale la mattina successiva veniva subito interrato con l'utilizzo di mezzi meccanici. "In particolare, scrivono i Carabinieri, il testimone riferiva che sarebbe tuttora in grado di indicare con estrema precisione il punto in cui furono sotterrali tali rifiuti, che si troverebbero a una profondità di circa 40 metri". Ma c'è dell'altro. Un secondo testimone ha raccontato di aver visto i camion che la notte partivano dalla Rosso e arrivavano a scaricare in località Foresta (comune di Serra D'Aiello, provincia di Cosenza). Qui lo scorso aprile sono stati effettuati con l'Arpacal (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Calabria) sondaggi su un'area di 10 mila metri quadrati a circa otto metri di profondità, dai quali è risultata la massiccia presenza di fanghi industriali. "Successive analisi chimiche, ha scritto il sostituto procuratore Greco alla Regione Calabria, hanno evidenziato in questi fanghi la presenza di alcuni metalli pesanti in concentrazioni tali da potersi configurare un pericolo concreto ed attuale per il suolo, sottosuolo e corpi idrici, con il superamento dei limiti accettabili di inquinanti". Durante i rilievi, un terzo testimone ha inoltre ammesso di aver trovato nel 1999 fusti gialli arrugginiti nella briglia del fiume Oliva, contigua alla zona sondata. In seguito il testimone ha negato, tornando però poi ad ammettere di avere visto un fusto.