Contraddizioni di Stato... Un nuovo dialogo con Asia Ostertag ex moglie di Vincenzo Mamone

Contraddizioni di Stato... Un nuovo dialogo con Asia Ostertag ex moglie di Vincenzo Mamone

Lunedì 07 Aprile 2008 02:09 C.Abbondanza
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C'è un cortocircuito nell'azione di contrasto alle mafie, o meglio ci sono norme contraddittorie, superficialità, quando non volontà precise, che ostacolano pesantemente i procedimenti e gli strumenti antimafia. Su tutti la normativa (e l'attuazione) della legge sui collaboratori e testimoni di giustizia che è stata scritta dall'allora Ministro degli Interni, Giorgio Napolitano, con il collega Ministro della Giustizia, l'avvocato Giovanni Maria Flick...


Solitamente le norme si modificano nel tempo per migliorarle, per superare i limiti riscontrati, per adattarle alle evoluzioni dei fenomeni che devono contrastare o affrontare. Questo avviene nei Paesi normali, non in Italia. Se apparentemente la riforma delle norme sul cosiddetto "pentitismo" si possono considerare "aggiornate", anche per l'inserimento - ed il riconoscimento - dei "testimoni di giustizia" (cittadini, estranei ai nuclei e/o attività dei sodalizi mafiosi, che, vittime o semplici testimoni di alcuni fatti delittuosi, decidono di denunciare e testimoniare per portare il loro contributo ai reparti investigativi e giudiziari), la realtà dei fatti ci parla di un pesante "arretramento". 
 
Lo strumento più efficace, come ci ha insegnato l'esperienza del Pool Antimafia di Caponnetto-Falcone-Borsellino, per "penetrare" nelle organizzazioni mafiose, decifrare la vita interna, acquisendo informazioni e prove altrimenti irraggiungibili, è quello dei collaboratori di giustizia. Nonostante questo, nonostante il fatto che siamo l'unico Paese al mondo con un terzo del territorio sotto il controllo militare delle mafie e con l'economia legale inquinata, in tutto il Paese, dai soldi intrisi di sangue dei mammasantissima, nonostante la DIA abbia stimato in 1.800.000 persone gli affili alle diverse mafie italiane e sia stato valutato in oltre il 33% della "ricchezza nazionale" il patrimonio e le risorse provenienti dalle attività illecite delle mafie, gli autori della riforma della legge sui collaboratori e testimoni di giustizia hanno ritenuto che in Italia "ci fossero troppi pentiti".  
 
Ora iniziamo a vedere cosa succede in conseguenza a quella riforma ed alla parallela approvazione del cosiddetto "Giusto Processo" che impedisce di utilizzare le dichiarazioni verbalizzate (verificate e riscontrate quali attendibili e pienamente veritiere, con i dovuti riscontri) nei processi se non vengono confermate in Aula, durante il dibattimento. Due riforme che hanno messo in "cortocircuito" uno dei capisaldi, l'arma più efficace dello Stato, nell'azione di contrasto alle organizzazioni mafiose, facendo sì che l'unico effetto è stato, come più volte denunciato in vano dalla Procura Nazionale Antimafia, dalle DDA e dalla Commissione Antimafia, il disincentivare la "collaborazione", come la "testimonianza", di Giustizia.  
 
Pino Masciari in questi giorni sta combattendo una battaglia non contro la 'ndrangheta, ma contro questo "cortocircuito". Sta denunciando che il sistema di protezione non funziona, che non è possibile che quanti decidono, come lui, di denunciare i mafiosi ed il sistema di collusioni, connivenze e complicità (esteso sin dentro le Istituzioni), contribuendo all'accertamento della verità processuale e, quindi, alle condanne, vengano "dimenticati", passino le pene dell'inferno insieme ai propri familiari, da deportati, privati di una effettiva libertà. 
 
Pino Masciari non è solo. Non lo è nemmeno nel denunciare questo sistema che non funziona. 
Ecco quindi un nuovo dialogo, dopo due anni, con Asia Ostertag, ex moglie di Vincenzo Mamone, che racconta pubblicamente la sua esperienza. 
 
Asia, inizia tu.

Ho visto la protesta e la denuncia di Pino Masciari. Sono andata a vedere il suo blog e non potevo stare in silenzio. Le stesse ragioni che mi hanno spinto nel 2005 ad imboccare quella sua stessa strada, mi spingono a fare qualcosa per sostenere Pino, sua moglie ed i suoi bambini. Quello che dice è vero, è quello che ho vissuto anche io. Non possiamo lasciarlo solo, sta combattendo per tutti coloro che vogliono sconfiggere la mafia, sta rischiando in prima persona, con la sua famiglia, la vita. Subisce le contraddizioni di norme ambigue e le superficialità di pezzi dello Stato che, per molteplici ed a volte gravi ragioni, ti rendono la vita impossibile, senza più libertà. So come ci si sente; è una sensazione di smarrimento, di isolamento, che fanno crescere la frustrazione e la desolazione dentro, nella consapevolezza che la 'ndrangheta può raggiungerti e colpirti direttamente o colpendo i tuoi affetti più cari. Ecco perché sentivo il dovere di dire che Pino non è un folle, è una persona coraggiosa che ha voglia di vivere e vuole, giustamente, che i suoi figli, come sua moglie, possano vivere serenamente, uscendo dall'incubo che è l'unica costante presenza al tuo fianco. 
 
Asia, vorresti ricordare cosa accadde dopo quel "dialogo" che facemmo nel finire del 2005 e che il Secolo XIX riprese l'otto dicembre? 
 
Dopo il dialogo ho iniziato a raccontare ai reparti investigativi ed ai magistrati della DDA tutto. Da quel momento dovevo tagliare con la vita precedente. Quando è uscito l'articolo su Il Secolo XIX sono intervenuti i reparti investigativi per spostarmi perché lì non ero più sicura. 
Voi sapete, perché in quel periodo sino alla risposta della Commissione Centrale del Ministero degli Interni, mi siete stati vicini. In quella fase iniziale, per me durata tre mesi ma per altri molto di più, come mi segnalava l'Avvocato Galasso, sei praticamente solo. Tra l'inizio delle verbalizzazioni con la sottoscrizione del "patto" con lo Stato e la risposta della Commissione, la protezione messa in atto è molto soft, la cosiddetta protezione dinamica, passa una pattuglia una tantum davanti al sito dove sei. Addirittura, pur senza lavorare, devi trovarti inizialmente una sistemazione, devi arrangiarti in tutto e fatto pesantissimo: le persone vicine a te sono escluse da ogni forma di protezione. 
Gli agenti della DIA con cui ho avuto rapporti, quelli che hanno seguito questa fase, sono stati straordinari, sia dal punto di vista professionale che umano. Hanno lavorato intensamente, senza farsi sconti. Hanno fatto tutto quello che era nelle loro possibilità e competenze. I problemi gravi di questa fase, come buona parte di quelli successivi, sono dovuti alle norme, alla burocrazia, a procedure confuse, lente e contraddittorie. 
 
La Commissione Centrale del Ministero degli Interni ha esaminato il fascicolo accogliendo l'istanza della DDA di Genova ed inserendoti nel programma di protezione a febbraio 2006. Da lì cosa è cambiato? 
 
Mi hanno avvisata che avrei dovuto recuperare tutto quello che mi serviva ed i soldi perché a breve sarei stata spostata nella sede protetta. Naturalmente io da sola, senza mia figlia, minore affidata a me, nonostante che io avessi precisato nel "patto" sottoscritto che lei avrebbe dovuto essere con me. Pensate che avevo indicato la scelta di una sede protetta non "umida", mi hanno mandato al mare... mi chiedo se a livello Centrale leggano i verbali, gli atti. 
 
Quali altre problematiche si sono evidenziate? 
 
Quella fondamentale è che non ti vengono date nuove generalità. Tu sei obbligato, pena l'espulsione dal sistema di protezione, a non rivelare la tua identità, ma come fai se non ne hai una nuova? Se ad esempio devi recarti ad una visita medica, devi esibire le tue generalità, non puoi mica inventartele o presentarti come "nessuno". Gli unici documenti, quelli strettamente necessari per eventuali emergenze, erano con dati non corretti, così se usi quelli rischi di insospettire qualcuno e, visto che sei in un luogo dove non conosci nessuno, non è una situazione che fa stare tranquilli. 
Pino ad esempio denuncia spesso che i suoi figli, nella sede protetta, vanno a scuola con il loro nome e cognome veri... ha ragione: è folle questa situazione, è un rischio continuo. La 'ndrangheta ha occhi e orecchie ovunque! 
 
Non puoi lavorare perché riveleresti la tua identità. Se per caso ti trovi un posto di lavoro per guadagnarti lo stipendio e soprattutto per non sentirti un recluso, un oggetto, ti arriva la diffida e la segnalazione all'Ufficio Centrale che può sbatterti fuori dal "sistema di protezione". 
Se vai in Ospedale per una patologia e porti i precedenti esami violi il "patto" e ti sbattono fuori.  
 
Prima dicevi che avevi chiesto che tua figlia, affidata a te, fosse portata con te. Noi abbiamo chiesto ad uno dei maggiori conoscitori del Diritto Minorile in Italia che ci ha comunicato che in effetti è così che deve essere e che l'Ufficio Centrale è responsabile dell'organizzazione di eventuali spostamenti del minore per le necessità previste dalla legge. Ed invece... 
 
Invece niente. Il sistema di protezione non ha saputo gestire questa situazione. Non ha nemmeno saputo organizzare degli incontri periodici per permettermi almeno di vedere mia figlia, di stare un po' con lei. Mi ha negato la possibilità di essere genitore. E questo ti costringe, alla fine, a violare il "patto", o meglio ti porta a non rispettarlo come non lo rispettano loro. Non puoi rinunciare ai tuoi figli! 
E' per questo che ad un certo punto non ce lo più fatta, sentivo telefonicamente mia figlia e mi mancava. Io mancavo a lei. Così ho preso e sono tornata a Genova. Sapete anche voi quanta fatica per tornare nella sede protetta, tre giorni per organizzare un viaggio ed anche qui gli agenti che lo hanno fatto sono stati gentilissimi. Ripeto il problema sono le norme, la burocrazia, le procedure... I NOP (nuclei operativi protezione, ndr) scrivono all'Ufficio Centrale, questi poi deve rispondere, quindi i NOP devono organizzarsi e muoversi, tempi improponibili! 
 
Già questi sono aspetti, problematiche, pesanti. Altre criticità? 
 
Quando si entra nel "sistema di protezione" tutto diventa relativo, come sempre quando vi è superficialità e disattenzione, per qualsivoglia ragione. 
Vi è una inadeguatezza fondamentale: quella del budget che ti viene messo a disposizione. Praticamente l'equivalente di una pensione minima, altro che le cifre che spesso i giornali sparano. Con questo devi pagarti le bollette, il cibo, le medicine, le spese per la casa e quant'altro. E' chiaro che questo budget non è adeguato al costo della vita. Ed anche qui non puoi chiedere aiuto a nessuno. Sei una località dove non conosci nessuno, dove non hai punti di riferimento. Non puoi nemmeno chiedere alle persone che ti sono vicine di aiutarti perché per farti mandare qualcosa, che so, ad esempio un vaglia, riveleresti dove sei e quindi violeresti il segreto sulla tua sede protetta, guadagnandoti, se ti va bene, una diffida, se non addirittura l'espulsione dal programma di protezione. 
Poi ci sono le volte che non ti arriva nemmeno accreditato il budget mensile e così magari rimani senza luce per giorni, senza possibilità di mangiare. Non è possibile! 
Se cerchi di sopravvivere violi il "patto", prendi diffide su diffide. Chiedi di avere quanto concordato nel "patto" e ti diffidano, poi ti espellono dal programma di protezione ed il tuo legale deve fare ricordo al TAR, e quando lo vinci ritorna la medesima situazione. 
 
Pino Masciari racconta spesso, negli incontri che ha fatto in giro per l'Italia e che per fortuna tutti possono vedere grazie a internet, che gli hanno spedito due multe al suo vecchio indirizzo in Calabria, con l'indicazione del luogo dove avrebbe commesso le infrazioni, cioè della località protetta. E' assurdo ma è vero! Queste cose accadono. Io avevo l'auto, naturalmente con la vecchia targa, chiaramente riconoscibile. Dove l'avevo parcheggiata vi è periodicamente un mercato. Io non lo sapevo, non essendo del posto. Alla fine sono arrivati i vigili ed è stato il putiferio. Sono dovuta andare al Comando della Polizia Municipale ma non potevo fornire i documenti perché mi era stato detto che se l'avessi fatto avrei violato il "patto". Alla fine sono arrivati i NOP e mi hanno fatto una diffida.  
Un altro esempio della "superficialità" del sistema è questa: spesso mi portavano a mangiare in un ristorante dove ero sempre l'unica donna, e gli altri erano tutti imprenditori di passaggio. In un contesto così è normale che io possa aver attirato l'attenzione di qualcuno, essendo appunto l'unica donna, ed in più alcuni di quegli imprenditori potrebbero essere in affari con le società della famiglia Mamone e quindi avrebbero potuto riconoscermi.
 
Altro aspetto assurdo è che ti venga proibito di utilizzare internet. Oggi, con internet hai l'accesso alla conoscenza, all'informazione. Uno potrebbe pensare che questa restrizione sia dettata dalla necessità di non permettere eventuali identificazioni della località dove ti trovi. Peccato che esistano sistemi, anche semplici, per mascherare la collocazione fisica di un computer in rete. Peccato, anche, che la stessa restrizione non sia adottata per telefono fisso o cellulare. Infatti le comunicazioni telefoniche, facilmente rintracciabili dai sodalizi mafiosi vista la rete di infiltrazione che questi hanno raggiunto, sono invece possibili. Siamo ad un'altra assurdità. 
 
Problemi che derivano da norme, ma anche dalle direttive centrali, da un sistema non gestito dalla magistratura ma da organi soggetti ai condizionamenti politici. Poi vi sono le problematiche derivanti dall'inadeguatezza della preparazione di quanti devono seguire la gestione operativa. Tra i testimoni di giustizia, come tra i collaboratori, ci sino coloro che hanno fornito elementi utili ad indagini per delitti di sangue e quanti invece hanno fornito elementi sulla rete di infiltrazione nell'economia e negli appalti, quelli le cui dichiarazioni rientrano quindi in procedimenti più veloci, con indagini magari già avanzate e - se così si può dire - più semplici, ed altri che con le loro testimonianze concorrono ad indagini più lunghe, delicate, che richiedono tempi e attività investigative particolarmente complesse. Tutti rischiano la vita. Soprattutto con la 'ndrangheta... che non fa' distinzione tra chi "parla" di un reato di sangue e chi invece di appalti o corruzione. Questo è un aspetto che dovrebbe essere compreso, tenuto sempre presente da chi opera nel "sistema di protezione"... ma che a volte sembra non essere pienamente compreso. Se vieni riconosciuto testimone o collaboratore di giustizia la protezione deve esserci senza mezzi termini. Quando si compie quella scelta, si crea una frattura con la vita passata, non si torna indietro... e lo "sgarro" non ti viene perdonato... lo Stato deve esserci a darti una "nuova vita", non può privarti, consciamente o meno, della tua dignità o farti vivere in un incubo per te e soprattutto per i tuoi affetti.  
 
Quindi cosa hai deciso di fare a quel punto? 
 
Semplice: abbandonare il sistema di protezione. Non ce la facevo più. A settembre l'esasperazione ho detto basta! Sono tornata dove, almeno, conosco territorio, persone... dove soprattutto posso vedere mia figlia! Sono tornata a Genova, non avevo scelta! 
Non sono certamente mancati i problemi, anzi... Non riuscivo a trovare un posto di lavoro, tanto da dover aprire un'attività autonoma... dovevo garantirmi un'entrata per poter vivere e non potevo permettermi di restare ferma. Dovevo fare qualcosa, qualunque cosa, mi permettesse di sopravvivere! 
Naturalmente questa scelta non ha aiutato a garantirmi maggiore sicurezza. Vi sono stati ripetuti episodi che hanno evidenziato i rischi che non svaniscono con il passare del tempo. Vi sono stati molteplici danneggiamenti all'auto, sino a quando ho deciso di farla demolire... non potendo permettermi, economicamente e psicologicamente, di farla riparare continuamente a freni e cambio... Ho subito un durissimo pestaggio, in un luogo pubblico, pieno di gente, ma su questo non posso dire altro visto che vi è un indagine in corso presso la Procura competente... 
Vi sarebbe molto altro da dire, altri episodi inquietanti, ma sarebbero solo ulteriori esempi e credo che si rischierebbe di perdere di vista il problema centrale per cui ho creduto opportuno parlare... Pino Masciari. Pino ha ragione e lo ringrazio per il coraggio e la forza che sta dimostrando e gli sono vicina. Spero che questo nostro dialogo, quello che si potrà continuare a fare, possa davvero essere di aiuto a cambiare le cose... non tanto per noi, ma per i nostri figli. 
 
Il pubblico ministro al processo a Savona alla cosca Gullace-Raso ha denunciato le intimidazioni e minacce da te subite, quando tu in Aula, dopo questa esperienza che ci hai raccontato, ti sei avvalsa della formulazione "non confermo" - prevista dalle nuove normative - rispetto a quanto avevi verbalizzato e che era stato riscontrato come attendibile e vero...

 
Si. Il Parlamento, tutto, ha previsto che occorra confermare in Aula quanto già verbalizzato e accertato in fase di indagine, ma in parallelo non garantisce un sistema di protezione adeguato. In questo contesto non potevo che avvalermi della possibilità di "non confermare". Il pm è intervenuto con nettezza per sottolineare la mia situazione.
Credo che le cose debbano cambiare e per questo ho fatto quella scelta nel 2005, dopo, e ci tengo a ricordarlo, 9 anni di denuncie inascoltate. Ho incontrato, come Pino Masciari e tanti altri, questo "cortocircuito" nello Stato, ma, come certamente anche lui, ho avuto la fortuna di conoscere persone straordinarie, soprattutto come gli agenti della DIA di Genova, o amici che, come voi, mi siete stati vicini. Dobbiamo andare avanti, fare rete, dire quello che non funziona... dire la verità! Serve che si capisca che per farcela non servono nuovi eroi morti, ma cittadini vivi! 
 
Qualcosa d'altro? 
 
Credo che sia importante che passi un messaggio. Dobbiamo tenere i riflettori accesi, non lasciare soli, isolati coloro che combattono, con diversi ruoli, le mafie. La visibilità spesso è l'unica assicurazione! Per questo è importante che se ne parli, che vi sia informazione su tutto questo... l'isolamento ed il silenzio uccidono, prima di tutto dentro! Le cose che non funzionano possono essere superate, ma occorre dirle e soprattutto dirle in tanti.



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