Qualcuno, e non noi – ormai si sa -, dice che qui a Genova va tutto bene. Ma non è così. Purtroppo in una città che si è sviluppata accettando certi “equilibri” volti a garantire una sorta di pax, alla fine i nodi vengono al pettine. Così il Questore si trova a dover gestire un terremoto di peso immane, mentre i Sindacati, ostacolano ogni forma di riorganizzazione degli uffici e dei servizi...
Così dopo le molotov della Diaz “erroneamente” distrutte, abbiamo avuto –ed è in corso- l’indagine di Montecarlo per riciclaggio internazionale, la sezione narcotici della squadra mobile “sconvolta” dagli arresti in flagranza di due agenti, o ancora l'arsenale con armi ed esplosivi rivenuto a Bolzaneto. Ora nuove indagini e nuovi processi. Le mele marce sono, in questa città, anche lì, come già nei tempi passati per lo scandalo del ex poliziotto Raucci, ora imprenditore dello spettacolo. Ma il segnale importante è che le mele marce vengono individuate e punite. Ci teniamo a sottolinearlo, in quel palazzo di via Diaz abbiamo trovato squadre preparate e competenti. Agenti capaci e equilibrati che si occupano, ad esempio, dei crimini contro i minori, piuttosto della criminalità organizzata, oltre che nella Digos. Uomini e donne che fanno il loro dovere, sacrificando anche le proprie famiglie. Identica cosa, dobbiamo dirla, per gli altri reparti con cui abbiamo da tempo avviato una collaborazione. Persone equilibrate, coraggiose e preparate ci sono nel GICO, nei NAS, nei NOE ed alla Centrale Operativa della DIA. Abbiamo conosciuto anche chi opera nel delicato servizio dei Nuclei Operativi di Protezione, che fanno quello che possono con deciso impegno. Anche molti degli agenti delle Volanti si sono dimostrati preparati e corretti. Anche noi sappiamo che ci sono agenti, e ne abbiamo conosciuti anche di questi, che se cambiassero mestiere sarebbe meglio. La cosa che è importante è sempre quella di rispettare le Istituzioni in quanto tali e denunciarne le disfunzioni o le mele marce che vi si annidano. E’ possibile estirparle e far funzionate le cose, ecco cosa dimostrano questi episodi gravi.
Qui una breve rassegna di questo terremoto, partendo, a ritroso dall’articolo di Repubblica:
06.03.2007 – La Repubblica – Genova
Il Retroscena – Inchieste, intercettazioni, proteste, la sparizione delle molotov della Diaz. E sul piede di guerra anche i Sindacati
La Questura tra scandali e terremoti
quasi ogni giorno un caso “imbarazzante”
Cosa sta accadendo alla polizia genovese? Ricapitoliamo quanto accaduto dall’inizio dell’anno. Due ispettori della sezione narcotici in galera per traffico di droga. Una seconda inchiesta della Procura per le violenze di altri agenti legati alla squadra mobile. L’odore di un terzo scandalo che coinvolge uomini degli stessi uffici. Per non dire degli imputati nei processi del G8, quello dell’irruzione alla scuola Diaz e dei soprusi nella caserma di Bolzaneto. Della figuraccia delle molotov, “indebitamente” distrutte dagli artificieri che dovevano custodirle e tema di un nuovo fascicolo giudiziario. Non è finita: altri due artificieri nei guai per aver nascosto del materiale esplosivo. I magistrati di Montecarlo che indagano su un caso di riciclaggio internazionale si imbattono in “imbarazzanti” intercettazioni, protagonista l’ex Questore Oscar Fioriolli ed un sottufficiale della Digos. Le manifestazioni di protesta dei venditori ambulanti stranieri, che a centinaia denunciano in coro un ispettore che avrebbe in vizio di derubarli. Un elenco interminabile, alla media di un pasticcio al giorno.Volete un esempio? Stampane in Tribunale c’è un udienza preliminare davanti al giudice De Matteis: gli imputati sono tre poliziotti che, in servizio al Commissariato di Nervi, svaligiarono la casa di un commerciante cinese durante una perquisizione.
Il Questore Salvatore Presenti preferisce non commentare. Dal dicembre 2004 si è ritrovato a gestire un eredità pesantissima. Ha cercato e ancora cerca di rinnovare una struttura che, negli anni, a visto fisiologicamente incancrenirsi vecchie magagne. Dove, in alcuni casi, si è passati con leggerezza dalla superficialità all’illegalità. Ma quando prova a cambiare l’ordine degli addendi finisce per inimicarsi i Sindacati. Che sono appena scesi sul piede di guerra, chiedendo la testa del capo di gabinetto. Il recente trasferimento del numero 2 della Squadra Mobile, Francesco Borré, non è ufficialmente conseguenza dello scandalo che il mese scorso ha portato in carcere i due ispettori della narcotici. “Normale avvicendamento”, tagliano corto in via Diaz. E però l’improvviso trasloco del funzionario, passato a sorpresa alla Digos, è di quelli destinati ad alimentare chiacchiere e maldicenze. Francesco Borré in passato, come altri colleghi, era venuto a conoscenza dei comportamenti “sospetti”della coppia di investigatori. Allora i sue lavoravano alle sue direttive, ma tutto suggerisce che il vice questore avesse negli ultimi tempi riacquistato fiducia negli ispettori: con loro continuava a collaborare quotidianamente, così come confermano le intercettazioni telefoniche ordinate dalla Procura. Borré, vale la pena di ricordarlo, è il dirigente della questura che è stato chiamato in aula a dare spiegazioni circa la stupefacente “sparizione” delle due bottiglie incendiarie, prova-regina nel processo per i falsi polizieschi alla Diaz. Al suo posto Presenti ha chiamato un pari grado Francesco Navarra, che da commissario – era l’aprile di 12 anni fa – rischiò di morire allo stadio “Luigi Ferraris” durante il derby Genoa-Sampdoria. Nel corso di una carica in gradinata Sud si ritrovò solo, circondato da tifosi blucerchiati: uno di loro, Roberto Raciti – che indossava una maglia con il numero 9, e che più tardi sarebbe comparso come imputato (a fianco delle famiglie Emmanuello e Fiandaca) in un processo per Lotto nero e gioco d’azzardo – lo massacrò di botte fino a ridurlo in fin di vita.
Negli ultimi giorni altri due ispettori della squadra mobile genovese, diretta da Claudio Sanfilippo, sono stati trasferiti presso altri uffici.
06.03.2007 – La Repubblica – Genova
Perquisizioni arbitrarie e comportamenti poco ortodossi, la Procura indaga su agenti in servizio nel centro storico
Altri poliziotti nel mirino dei giudici
Ispettori nei guai per la coca: spuntano conti correnti all´estero
di Massimo Calandri, Marco Preve
Un secondo gruppo di poliziotti finisce nel mirino della magistratura. Alcune denunce, che raccontavano di perquisizioni arbitrarie e comportamenti poco ortodossi, hanno convinto la procura ad aprire una nuova inchiesta. E´ stata affidata a Vittorio Ranieri Miniati: è lo stesso pm che si occupa di Gianni Sivolella e Andrea Percudani, gli ispettori della narcotici arrestati in flagranza mentre ricevevano da un pregiudicato, loro confidente, la prima tranche del pagamento di un chilo di cocaina. Minimo comune denominatore delle due vicende sono squadre di poliziotti esperti, che godono della fiducia dei capi e della procura: investigatori che di solito garantiscono risultati ed encomi, che conoscono la strada e la gente. Uomini che non si tirano indietro. Ma che con il passare del tempo diventano sempre più intraprendenti e spregiudicati. Autonomi dalle gerarchie come dalle regole. La nuova indagine coinvolge alcuni agenti e ispettori che si sono occupati di operazioni nel centro storico. La procura avrebbe vagliato con attenzione le denunce ricevute, nei prossimi giorni alcuni agenti potrebbero essere convocati al nono piano del tribunale.
Nel frattempo l´inchiesta su Sivolella e Percudani allarga i suoi orizzonti. Gli inquirenti stanno cercando all´estero, su qualche conto corrente blindato, eventuali tracce bancarie del traffico di droga. Preso atto della confessione della coppia della squadra mobile, che ha ammesso di aver venduto un chilo di cocaina al pluripregiudicato Mario Iudica, l´indagine sta ora prendendo in considerazione altri aspetti dai risvolti inquietanti. I dubbi e i sospetti da cui muovono il pm e i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria, riguardano prima di tutto la rete di amicizie e connivenze che i due ispettori avevano: non solo con esponenti della criminalità, ma anche con i loro colleghi. E´ un dato di fatto che nell´indagine al momento siano coinvolti altri quattro agenti. Tre di loro devono rispondere, assieme agli arrestati, di peculato: tre computer sono stati rubati da un lotto sequestrato a dei clandestini rumeni, uno dei portatili è stato ritrovato sulla scrivania di Percudani in questura. Un quarto poliziotto è indagato per spaccio, la sua posizione è delicatissima. E´ lui, infatti, che Percudani chiama al telefono, subito dopo aver visto i finanzieri arrestare Sivolella nella trappola preparata alla Fiumara.
«Hai mangiato il panino?» chiede Percudani al collega, soprannominato lo zio Pino. Dopo alcuni minuti i due si risentono. «L´ho mangiato» annuncia lo zio. Percudani, tira un sospiro di sollievo: «Adesso sono molto più tranquillo». Ma cosa diavolo era quel panino che tanto angustiava Percudani nei minuti precedenti l´arresto? Potrebbe essere altra droga, ipotizzano gli investigatori. Il dubbio che non fosse la prima volta che i due poliziotti trattassero coca al di fuori dei propri doveri istituzionali, è forte. E lo stesso Sivolella - che in un´intercettazione cerca di convincere Iudica a cambiare strada e quindi aggiunge: «Se poi nel frattempo troviamo qualche cosa quella te la do gratis» - avrebbe manifestato la propria intenzione a collaborare dopo il secondo interrogatorio davanti al pm Vittorio Ranieri Miniati.
Nei giorni scorsi uno dei due ispettori della mobile è rimasto vittima di un misterioso incidente all´interno del carcere di Pontedecimo, dove è detenuto. Ufficialmente sarebbe scivolato all´interno della propria cella, battendo la testa. I medici della prigione gli avrebbero applicato alcuni punti di sutura. L´inchiesta interna, di cui è stato informato anche il magistrato, avrebbe confermato la testi dell´incidente: «Sono caduto, è stata solo colpa mia», avrebbe ribadito il ferito.
07.03.2007 – La Repubblica – Genova
Un nuovo episodio allunga la lista nera: accusa di peculato e perquisizione arbitraria
Trentamila euro scomparsi
tre poliziotti rinviati a giudizio
Il sindacato: “Il vertice della Questura tace”
di Massimo Calandri
Al termine dell’udienza preliminare di ieri, il giudice Maurizio De Matteis ha rinviato a giudizio tre poliziotti del commissariato di Nervi: sono accusati di peculato e perquisizione arbitraria. Entrati nell’appartamento di un commerciante cinese, senza averne il diritto, dopo aver rovistato tra le stanze avevano portato via la borsetta di una donna: c’erano dentro quasi trentamila euro in contanti, che sparirono “misteriosamente”. Una brutta storia per la polizia genovese, che si aggiunge alla serie di episodi su cui indaga la Procura del capoluogo ligure. E’ stata confermata l’apertura di un inchiesta su altri investigatori, accusati di violenze nei confronti di cittadini stranieri, mentre allo stesso pubblico ministero – Vittorio Ranieri Miniati – stanno per prospettarsi nuovi ed inquietanti scenari, dopo l’arresto per il traffico di droga di due ispettori della squadra mobile. Nel frattempo Francesca Nanni, magistrato della DDA, ha trasmesso un avviso di conclusione delle indagini preliminari ad un artificiere, nei guai per detenzione illegale di armi ed esplosivi. Uno scandalo dopo l’altro, per tacere della “erronea” distruzione delle molotov la prova-regina di uno dei processi del G8. I sindacati di polizia confessano tutta la loro “preoccupazione”, anche rispetto al rapporto quotidiano con i cittadini, e denunciano il “silenzio” del questore e degli altri funzionari.
Nel marzo di quattro anni fa, tre agenti del commissariato di Nervi (Giovanni Smiraglia, Daniele Soldano, Paolo Rotta) fecero irruzione in un appartamento di Sampierdarena. Dissero di aver appena fermato alcune persone che giuravano di aver acquistato dentro a quella abitazione alcuni Rolex falsificati. In mancanza di un mandato (e non cercando droga o armi) non avevano alcun diritto di entrare, ma lo fecero comunque. Trovarono effettivamente degli orologi perfettamente contraffatti. Ed arrestarono tre uomini di origine cinese, che non parlavano una parola di italiano e che furono accusati di associazione a delinquere. Gli agenti però non dissero che in casa c’erano anche una donna, cinese, e un bimbo. Al termine dell’intervento avvertirono il pm di turno (Enrico Zucca) che più tardi – non ricorrendo i presupposti per l’arresto – fece scarcerare i cinesi. Il magistrato raccolse quindi la denuncia della donna, che aveva visto i poliziotti rovistare nella sua borsetta. La stessa borsetta era comparsa qualche ora più tardi negli uffici del commissariato. I soldi che c’erano dentro sparirono, e nessuno sa che fine abbiano fatto. Le indagine ordinate dalla Procura hanno permesso di evidenziare le responsabilità degli agenti: accettando la tesi dell’accusa, il GUP ha rinviato a giudizio gli indagati. Il processo si terrà a luglio.
Roberto Traverso, segretario provinciale del Silp, chiede “fiducia” per i poliziotti genovesi, ed un intervento del questore Salvatore Presenti. Ritiene anche “indispensabile rappresentare a Gianni De Gennaro, capo della polizia, “la grave situazione che sta attraversando la Questura di Genova, alla ricerca di immediate e incisive soluzioni”.
03.02.2007 - ANSA
Droga: fermati 2 ispettori polizia
(ANSA) - GENOVA, 3 FEB - Due ispettori di polizia, in servizio presso la narcotici della Mobile di Genova, sono stati fermati per spaccio di droga e peculato. La prima accusa, secondo le indagini della Guardia di Finanza, riguarda la cessione di un chilo di cocaina, del valore di circa 70.000 euro, a un pregiudicato genovese. Il peculato deriva dall'ipotesi che i due si sono appropriati di 3 pc portatili sequestrati a un cittadino romeno durante una operazione di polizia.
19.12.2006
Genova - Operazione antidroga, in manette due ex poliziotti di Cuneo
Genova - Sono finiti in manette anche Francesco Pagliuzzi, ex ispettore capo della narcotici della Questura di Cuneo, e Marcello Sanna, agente di polizia penitenziaria di Cuneo, nell'ambito dell'operazione "Mechanix 5", condotta congiuntamente dalla Guardia di Finanza di Genova e dai Carabinieri di Livorno e coordinata dalla Dda della Procura di Genova .
Associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti: questa l'accusa che ha portato all'emissione di 13 ordinanze di custodia cautelare (10 delle quali eseguite questa mattina). Oltre agli arresti in flagranza di reato, le forze dell'ordine hanno sequestrato 800 kilogrammi di hashish (il cui valore sul mercato si aggira intorno ai 12 milioni di euro) e posto sotto sequestro anche conti correnti e patrimoni di alcuni degli arrestati.
La banda di trafficanti sgominata agiva su due continenti: la droga, proveniente dal Marocco e dalla Spagna, arrivava in Italia via mare o via terra, per essere poi stoccata in depositi a Cuneo, Genova-Voltri e Novi Ligure, da dove veniva poi smistata nel Nord-ovest della Penisola ed in Toscana.
22.11.2006 - Corriere Mercantile
Blitz della Digos al Reparto Mobile. Armi sequestrate, Poliziotti indagati
In un capannone del reparto mobile di Bolzaneto c'era un arsenale clandestino: una bomba a mano, pezzi di artiglieria, munizioni. Armi da guerra, insomma, che none rientrano certo nelle dotazioni del reparto della ex "Celere". A scoprirlo sono stati i poliziotti della Digos che l'altro giorno hanno
perquisito i locali della caserma e sequestrato tutto il materiale in esecuzione del provvedimento firmato dal sostituto procuratore Francesca Nanni della Direzione distrettuale antimafia.
Con l'accusa di detenzione illegale di armi sono stati indagati due sottoufficiali di polizia, indicati come i "custodi" dell'arsenale ma non direttamente dipendenti dal reparto mobile. La vicenda, alquanto imbarazzante e sulla quale vige il massimo riserbo, potrebbe coinvolgere altri poliziotti.
Che ci facevano armi e munizioni da guerra nei locali del Reparto Mobile? L'interrogativo scivola tra ipotesi e tesi difensiva dei due sottufficiali indagati. L'arsenale illegale non sarebbe altro, sostengono i due poliziotti, che la raccolta di "souvenir" bellici collezionati durante varie missioni compiute all'estero in zone di guerra. Tesi, pare, in un certo modo attendibile ma non sufficiente a legittimare il possesso e la conservazione di tutto quel materiale nell'ambito di una struttura quale e' la sede del Reparto Mobile di Bolzaneto, all'interno del quale sorgono le palazzine degli alloggi per gli agenti, gli uffici, i garage degli automezzi, l'armeria "ufficiale" e i depositi di carburante.
Per stabilire l'origine, la fabbricazione e le potenzialita' offensiva del materiale sequestrato il sostituto procuratore Francesca Nanni ha ordinato una perizia. Ad eseguirla sara' un maresciallo dell'esercito, uno dei massimi esperti in materia. Il sottufficiale e' gia' al lavoro e presto potrebbe depositare in Procura le sue conclusioni. Ma c'e' un altro aspetto che il magistrato e gli investigatori della Digos devono ricostruire. Da quanto tempo all'interno dei locali del Reparto Mobile di Bolzaneto erano conservati illecitamente bombe, munizioni e pezzi di artiglieria? Risulta poi alquanto improbabile che solo i due sottufficiali fossero a conoscenza dell'arsenale illegale. E' piu' probabile invece che molti altri poliziotti, di vari gradi, fossero al corrente dell'esistenza di questo "deposito" voltandosi di fatto dall'altra parte. E attorno a questo aspetto dell'indagine che qualcuno a Bolzaneto rischia il coinvolgimento, piu' o meno diretto, nella vicenda. Non e' dato di sapere su quali basi e dietro quali "stimoli" la Direzione distrettuale antimafia e la Digos ad un certo punto abbiano deciso di perquisire i locali "incriminati". Si parla addirittura di una "soffiata" partita direttamente dall'interno del reparto Mobile. In realta' le prime indiscrezioni collegavano il blitz dell'altro giorno al giallo del presunto attentato contro la caserma del Reparto Mobile. L'episodio risale al 28 novembre dell'anno scorso. Quella mattina un razzo da segnalazione colpi' la palazzina che ospitava una ditta di prodotti farmaceutici. situata sulla collina di Cremeno, poco distante in linea d'aria dal deposito carburanti e dalla palazzina comando della caserma di polizia. Accertamenti e varie perizie stabilirono successivamente che non si era trattato di un attentato ma di un incidente. Il razzo, infatti, parti' direttamente dal piazzale della caserma per mano di un agente.
Un gioco che avrebbe potuto trasformarsi in tragedia. Un gioco che pero' non ha nulla a che fare con l'arsenale scoperto da Procura e Digos e ora al centro di un'inchiesta imbarazzante.
Andrea Ferro
25.06.2006 – La Repubblica
I retroscena della complicata vicenda che ha portato alla ribalta della cronaca il patron siriano della Lucchese, con villa a Pieve
Fouzi: miliardi, miniere & potere
Quelle amicizie sbocciate ai tempi del caso Achille Lauro
Amicizie, trattamenti di favore, e una indagine dei magistrati di Montecarlo che sta suscitando più di un imbarazzo
MARCO PREVE
Raccomandazioni ad alto livello per l´acquisto di squadre di calcio, e corsie preferenziali per evitare controlli doganali in aeroporto. Trattamenti di favore da parte della polizia genovese per Fouzi Hadj, l´imprenditore siriano indagato per riciclaggio dalla magistratura di Montecarlo.
Un feeling - interrotto dai trasferimenti decisi dal questore Salvatore Presenti - che aveva però origini lontane, per la precisione nel periodo del sequestro dell´Achille Lauro ad opera di terroristi palestinesi avvenuto nel 1985.
E´ lì che nascono alcune amicizie e rapporti privilegiati che possono aiutare a spiegare un "affaire" che - dopo le anticipazioni di Repubblica, Espresso e Corriere Mercantile - sta creando qualche imbarazzo nei palazzi del potere.
Breve riepilogo. Il signor Hadj è un recente miliardario con interessi in Guinea e in Ucraina. Il giudice istruttore di Montecarlo Bruno Nedelec, nel 2004 avvia indagini per il sospetto di riciclaggio relativo all´acquisto di un hotel nel Principato di cui sono comproprietari Hadj e l´avvocato genovese Damiano Sterle. Vengono chieste alle autorità italiane indagini attraverso pedinamenti, videoriprese e intercettazioni telefoniche. Da questi accertamenti, oltre ad un bonifico da 50 mila euro sul conto dell´ex questore di Genova oggi a Napoli Oscar Fioriolli («un prestito per l´acquisto di una casa»), emergono trattamenti di favore da parte di alcuni poliziotti nei confronti di Hadj e di suoi collaboratori. Comportamenti apparentemente discutibili, che per la procura non hanno però mai rappresentato ipotesi di reato e neppure spunti investigativi degni di essere approfonditi. Almeno fino ad oggi.
Ci sono, però, altri punti ancora da chiarire sul fronte genovese. Quando si dovette nominare un interprete per tradurre i dialoghi in lingua araba di Hadj, la scelta del dirigente della polizia giudiziaria Giulio Amendola ricadde su Marwan Katabi, sessantenne siriano, imprenditore del ramo export e dieci anni fa socio nella ditta "Orient" di salita san Barnaba, proprio di Fouzi Hadj. Ma Katabi era stato soprattutto, come racconta il pm di allora Luigi Carli: «L´interprete principale del processo contro i terroristi dell´Achille Lauro. Un uomo di grande cultura, cittadino italiano, affidabilissimo, sicuramente un uomo che era di casa nella questura di Genova».
Amico di molti poliziotti Marwan Katabi, amico degli stessi e di altri poliziotti Fouzi Hadj che di Katabi era stato socio. E lo stesso questore Fioriolli, che non vuole rilasciare dichiarazioni ufficiali sulla vicenda, riconosce però che la casa di Fouzi (appena saputo che era indagato Fioriolli ha interrotto ogni rapporto, anche se ritiene vergognoso, e ne ha discusso con il procuratore Francesco Lalla, il suo coinvolgimento mediatico nella vicenda) era frequentata da molti altri funzionari di polizia. Ed anche ispettori, come quello che presentò Hadj a Fioriolli negli anni ´80, e che due mesi fa, dopo una lunga carriera nella Digos, è stato trasferito dal questore Salvatore Presenti. In ogni caso, in questi vent´anni, Fouzi Hadj ha stretto molte amicizie e incrementato il suo patrimonio. La conoscenza con Fioriolli è sicuramente servita come referenza per l´acquisto della Lucchese.
Racconta Pietro Fazzi ex sindaco di Lucca: «Il questore Maurizio Manzo (dirigente dell´ufficio stranieri a Genova negli anni ´90, ndr) mi disse che gli aveva telefonato il collega Fioriolli per raccomandare Hadj e garantire che si trattava di una persona affidabile».
La stima era reciproca, visto che Fioriolli aveva trascorso il Natale del 2004 nella villa da sogno di Pieve Ligure, e il siriano intendeva convincerlo ad accettare di occuparsi del piano della sicurezza per il presidente della Guinea Lansana Contè.
Ed è proprio la Guinea la fonte della fortuna di Hadj. Lui spiega che Contè lo ha anche incaricato di occuparsi dei rapporti con l´Onu per gli aspetti umanitari.
Ma non è certo quello il suo unico impegno in terra d´Africa.
Hadj spiega in dettaglio quali siano i suoi interessi in una querela del 2002 nei confronti di un socio in affari: «Ho saputo dal signor B. che in Guinea si potevano acquistare metalli di ferro, quale rottamazione di macchinari di miniera di bauxite. Alla fine del 1996 sono andato in Guinea e ho preso contatti con il Ministero delle Miniere. E nel 1997 ho acquistato materiale di rottamazione. Attualmente ho una società, Katex Mines. Io ne sono amministratore con Sharif Contè, fratello del presidente. Abbiamo una concessione per lo sfruttamento delle miniere e l´esclusiva del rottame. In più attività nel settore agricolo ed immobiliare. Stiamo costruendo circa 300 ville. Sono anche consigliere economico del presidente che mi ha dato il compito di risanare tutte le strutture». Secondo l´organizzazione non governativa Human Rights Watch, nel 2003 la Katex - Hadj smentisce con fermezza - fu l´intermediaria di un traffico di armi provenienti dall´Ucraina e dirette alla Liberia, paese sul quale vige l´embargo.
03.07.2005 – La Repubblica
Genova , altre dodici persone sotto inchiesta per l'organizzazione illegale antiterrorismo. Pisanu sospende i tre agenti coinvolti
Alti ufficiali nella polizia parallela
Si allunga la lista degli indagati. E spuntano nomi delle gerarchie militari
di MARCO PREVE
Agenti della Questura di Genova. Da qui è partita l'indagine che ha smascherato la rete d'intelligence parallela
GENOVA - Ci sono quelli, come un questore del centro Italia che, come fecero alcuni affiliati alla P2, ad un certo punto si confida con finanziere e gli dice "dio in che casino mi sono infilato". Ma per qualcuno che ha peccato credendo di iscriversi solo all'ultimo club segreto dei difensori dell'Occidente, ci sono molti altri tesserati del Dssa, il Dipartimento Studi Strategici Antiterrorismo, che stanno per avere guai seri.
Sono, infatti, almeno una dozzina, e questa volta non solo agenti e militari semplici, ma ufficiali di alto livello, i nuovi indagati dell'indagine della procura e della Digos di Genova che conta tre arrestati, Gaetano Saya, Riccardo Sindoca e l'ispettore milanese Salvatore Costanzo (fermato per il possesso di armi non dichiarate), e 24 già sotto inchiesta. Le accuse sono di associazione a delinquere per l'usurpazione di titolo e l'utilizzo di dati riservati utilizzando le banche dati ministeriali.
Ma l'attenzione degli investigatori in queste ore si sta concentrando in particolare a due altri aspetti dell'indagine. Intanto il ruolo di uno degli indagati, Gilberto Di Benedetto, misterioso e facoltoso immobiliarista romano, meno esaltato dei suoi capi Saya e Sindoca, e più interessato a coltivare amicizie importanti come quella con persone vicine al Vaticano.
E poi, c'è un secondo inquietante aspetto che stanno esaminando i pm Francesca Nanni e Nicola Piacente. In un anno d'indagine, troppe volte pedinamenti e intercettazioni hanno dimostrato che i fanatici della Dssa potevano contare, anche se in maniera periferica, ufficiosa, su qualche aggancio con il Sismi.
Insomma, da un'indagine su un gruppo di neofascisti che pensava di ottenere l'appalto per la sicurezza del Papa o coltivava la speranza di catturare il terrorista latitante Cesare Battisti, si è finiti prima con lo scoprire l'organizzazione di un'attività di intelligence abusiva che pedinava e controllava cittadini stranieri, diffondendo anche informazioni fasulle su presunti pericoli islamici.
E adesso si batte questa nuova, per ora fumosa, pista dei servizi. Quella di alcuni contatti con il Servizio segreto militare in particolare, anche se Saya, Di Benedetto e altri indagati come l'ex ufficiale dell'esercito Bruno Palermo, napoletano 45enne, negli anni passati avevano fatto domanda di assunzione, sempre respinta, sia al servizio militare che a quello civile, il Sisde. Avevano effettuato anche una sorta di periodo di prova senza mai superare l'esame finale per "scarsa attendibilità" come sta scritto su alcuni rapporti. Ma qualche vecchio contatto, forse, era rimasto grazie anche all'affiliazione nella Dssa di ex soldati di Gladio come Antonino Arconte, o lo si sperava di ottenere attraverso i body guard amici di Fabrizio Quattrocchi, impegnati in Iraq. Ancora, sul fronte inchiesta, mercoledì sono previsti i primi interrogatori di convalida degli arresti domiciliari. A Saya e Sindoca è stato notificato un provvedimento con cui viene loro vietato di parlare alla stampa, pena il carcere.
Intanto, ieri, poche ore dopo che il ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu aveva annunciato "l'immediato avvio del procedimento di sospensione cautelare dei tre agenti di polizia coinvolti nelle attività truffaldine del sedicente Dssa", l'avvocato Carlo Taormina ha fatto pesanti insinuazioni. Il parlamentare di Forza Italia sostiene che il Dssa dovrebbe "essere ringraziato per essersi fatto carico del dilagante tessuto terroristico che occupa il territorio nazionale. La struttura che faceva capo a Saya forniva ai ministeri dell'Interno e della Difesa, al Sismi, al Sisde e alla Digos informazioni attraverso atti formali. Non è credibile, perciò, che fosse estranea alle istituzioni dello Stato e che agisse contro di esso. È probabile che il Dssa conosca la verità sull'uccisione di Nicola Calipari e sulle ragioni per le quali si salvò Giuliana Sgrena".
Il senatore del Pdci Gianfranco Pagliarulo ha invitato i ministri Pisanu e Martino a querelare per diffamazione Taormina, mentre il procuratore di Genova Francesco Lalla ribatte: "Le forze di polizia istituzionali non erano assolutamente a conoscenza dell'attività dell'organizzazione di Dssa. L'indagine della Digos è stata svolta in maniera approfondita e con efficienza. Semmai può essere un sintomo di malessere che ci porta ad aumentare l'attenzione nei controlli anche all'interno delle forze di polizia, che pure hanno gli anticorpi per eliminare queste deviazioni".
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